PROLOGO
In Nessun Luogo
In Nessun Tempo


Ancora una volta la consueta, fredda luce blu lo abbracciò 
tutto come fosse una gelida e viscida coperta, immergendolo 
in quella specie di sogno ad occhi aperti che aveva imparato 
ormai a riconoscere come precursore di un nuovo salto; il 
rumore, nelle sue orecchie, salì ad una velocità folle fino a 
diventare quasi intollerabile mentre, davanti alle sue pupille 
dilatate si proiettava, ancora una volta, il medesimo, 
grottesco film senza colore: colse in un'unica occhiata il volto 
di suo padre, il profilo di una donna bruna e poi un ragazzo 
che giocava a pallacanestro e odore di torta di ciliegie e di 
tabacco, le ombre che si allungavano sul portico della sua 
fattoria mentre il sole moriva a velocità della luce e, in 
distanza, il muggito tranquillo delle vacche già chiuse nella 
stalla, al sicuro. Per un attimo si ritrovò nella "Sala d'attesa" 
e riuscì quasi a specchiarsi sulla superficie riflettente del 
tavolo al centro della camera, quindi, così com'erano venute,  
le visioni lo abbandonarono di colpo ed il dottor Sam Beckett 
sentì, come tutte le altre volte qualcosa, nel profondo della 
sua anima, incrinarsi e poi spezzarsi andando in frantumi.
"Ti prego, fammi ritornare a casa! Che senso ha tutto questo, 
che cosa ho fatto di sbagliato? Sono stanco di vivere la vita di 
qualcun altro, stanco di non ricordare niente di me, nemmeno 
la mia faccia, stanco di vagare nel tempo a riparare quello che 
Tu, nella tua perfezione, hai lasciato da parte a marcire, 
stanco, tanto stanco."
Chiuse gli occhi con forza cercando di tenere assieme ancora 
quel poco che, consciamente, sentiva appartenere a se 
stesso, i pochi e confusi ricordi, i propri pensieri e ideali, il 
sogno di un mondo migliore e il proprio nome e cognome, di 
cui suo padre era sempre andato fiero, mentre lo spazio-
tempo attorno a lui si dilatava per poi restringersi e dilatarsi 
ancora, come l'obiettivo impazzito di una gigantesca 
macchina fotografica.
Sentì il tocco leggero di una lacrima cominciare a colare, con 
una lentezza quasi esasperante, lungo la sua guancia destra 
mentre il suo petto esplose in unico singhiozzo; poi, tutto fu 
notte fonda per un eterno secondo e, anche stavolta, Sam si 
sentì sopraffatto dalla paura di essere morto.
Niente, nessun dolore, nessuna sensazione, come galleggiare 
mollemente in un mare di grigia nebbia incorporea. In fin dei 
conti non gli dispiaceva questo andare alla deriva senza 
pensieri, né preoccupazioni, né pesi, né stanchezza: non 
aveva, al momento, nessun altro desiderio che restarsene lì a 
galleggiare e a sognare di essere di nuovo a casa.
Un forte odore di terra bruciata dal sole colpì il suo olfatto, 
divenuto fine per la necessità e l'esperienza di lunghi anni 
passati a raccogliere quanti più indizi potesse in un solo 
secondo; dopo l'odorato giunse rapida e precisa, come una 
lama di coltello, la sensazione dei raggi solari arroventati 
sulle proprie spalle nude mentre una folata di vento caldo gli 
sferzava la faccia colpendolo con violenza con la polvere che 
si era sollevata dal terreno arido.
Sam continuava a tenere le palpebre serrate, ultimo baluardo 
di difesa contro il ritorno della propria fisicità; comprese che 
un altro salto era iniziato e che un nuovo lavoro lo stava 
aspettando. La sua mente registrò freneticamente il feedback 
in arrivo da tutto il proprio corpo per cercare di calcolare 
rapidamente la propria posizione, l'orientamento, il 
significato del gesto che i suoi muscoli stavano compiendo in 
quel momento e poterlo così portare a termine in una 
maniera fluida e convincente per gli eventuali astanti.
Le sue dita stavano stringendo con vigore qualcosa di 
morbido e lanoso, caldo e pulsante mentre tutti i muscoli del 
proprio torace erano rigidi e francamente dolenti nel 
disperato tentativo di riuscire a tenere ferma a terra quel 
qualcosa che si stava dimenando senza tregua sotto la 
pressione delle proprie braccia.
Un odore forte,di nuovo, lo colpì, facendogli perdere il 
respiro: il lezzo caratteristico delle fattorie, un misto di 
polvere, concime, sudore ed animali gli penetrò con vigore 
nelle narici e gli fece allentare la presa mentre, nella sua 
testa, il ronzio stava cessando sostituito e quasi subissato 
dal battito furioso del proprio cuore e dal muggito disperato 
di un vitellino.
"Sono a casa?"
Si chiese con un misto di esaltazione e timore mentre, 
deglutendo a fatica, decideva che era ora di aprire gli occhi.
Lasciò che le proprie pupille si dilatassero ma la luce così 
brillante, del sole a mezzogiorno, lo accecò completamente; 
d'istinto abbandonò la presa con la mano destra, che portò 
sulla fronte a mo' di protezione e fu allora, con un fatale 
centesimo di ritardo sulla propria parte irrazionale, che la 
mente gli ricordò uno dei tanti insegnamenti di suo padre:
-Mentre lavori in una fattoria, qualsiasi cosa succeda, non 
lasciare mai la presa.-.
Ma era tardi ormai: il vitellino colse al volo quell'occasione e 
si sollevò di scatto con la parte anteriore del corpo, 
scalciando come un matto con le due zampe posteriori. 
Il corpo di Sam si trovava nel posto sbagliato al momento 
sbagliato.
Sentì un dolore atroce, come una potentissima frustata, che 
gli paralizzò il respiro e gli tolse momentaneamente la 
sensibilità all'altezza dell'inguine; mentre si rotolava sulla 
dura terra, cercando di contenere quel dolore folle, portando 
entrambe le mani sulla zona colpita in un inutile tentativo di 
massaggio colse, con una rapida occhiata, il profilo di un 
uomo a cavallo, che si stagliava immobile nella propria 
maestosità nettamente contro il profilo del sole a 
perpendicolo.
Le lacrime avevano cominciato a scorrergli copiose sul volto 
formando, sulle sue guance e sulle labbra secche, una specie 
di fango caldo assieme al terreno, che gli s'incrostava e 
s'induriva come cemento a presa rapida, impedendogli di 
esprimere la propria mimica facciale.
Un pensiero gli attraversò il cervello: quell'uomo, quello sul 
cavallo, forse non si era accorto di quanto era accaduto, forse 
era un medico, un veterinario quanto meno, lo avrebbe 
aiutato ad alzarsi, lo avrebbe accompagnato in casa(da 
qualche parte doveva pur essercene una!), poi sarebbe 
arrivato Al e tutto sarebbe finito in fretta. E se invece il suo 
compito fosse stato proprio quello di impedire che la persona 
in cui era saltato venisse colpita dai due zoccoli posteriori di 
un vitello inferocito e rimanesse menomata a vita? In tal caso 
aveva fallito e magari sarebbe rimasto prigioniero di quel 
corpo per sempre.Per tutta risposta lo stomaco gli si 
accartocciò e cominciò a contrarsi dolorosamente per 
l'angoscia di aver fallito ed il terrore di aver subito un danno 
permanente.
Respirando a fatica, riuscì ad allungare una mano e a 
tenderla verso quell'uomo contro sole, sperando in un aiuto 
tempestivo.
-Ah.-farfugliò tra i denti- oh mamma.
Quello fece avvicinare con calma il cavallo.
-Stupido animale!- sibilò, la voce impastata poi, molto 
lentamente, estrasse una frusta, ne guardò il manico 
scintillare alla luce del giorno, quindi la fece vibrare due o tre 
volte in aria prima di fargliela precipitare con violenza sulla 
mano tesa.
Immediatamente per Sam, così com'era venuta, la luce si 
spense.