CHAPTER EIGHT


Progetto Quantum Leap
Stallions Gate, New Mexico
Mercoledì, 17 Aprile 1999
Ore 23:47


I passi malfermi di Albert Calavicci risuonarono cupi nella 
vastità e nel silenzio degli enormi corridoi sotterranei: 
stavano dormendo tutti.
Tutti tranne lui.
Dovette avvicinarsi alla fredda parete per riuscire a muovere 
gli altri passi malsicuri e giungere così sull'uscio dell'alloggio 
di Gooshie, sulla porta del quale scaricò un pugno con tutta 
la violenza di cui era capace.
-Gooshie.Gooshie svegliati, maledizione!
-Ammiraglio.ma che succede?- L'omino basso dai capelli 
rossi ed il fiato pestilenziale sgranò tanto d'occhi non appena 
il suo sguardo si appoggiò sul viso del proprio interlocutore e 
rimase, per un secondo, senza parole.
L'Ammiraglio Calavicci era sconvolto: i capelli arruffati, la 
barba incolta, indossava ancora la camicia del giorno prima e 
neppure i pantaloncini cachi avevano un buon aspetto; gli 
occhi, piccoli e stanchi, erano rossi ed infiammati e cerchiati 
da delle profonde occhiaie bluastre che lasciavano solamente 
intuire da quanto tempo non riuscisse più a dormire almeno 
cinque ore filate di sonno. E poi si reggeva faticosamente alla 
parete, come se avvertisse il pavimento sotto ai suoi piedi 
girare vorticosamente, il corpo scosso da dai tremiti irregolari 
ed il fiato corto ed impregnato d'alcol.
-Ammiraglio.E' ubriaco?!
-Non ti pago per farmi da medico!- Lui lo afferrò con violenza 
con le dita della mano destra e lo trascinò fuori dal proprio 
alloggio.-Cos'è, si batte la fiacca? Una volta io e Sam 
lavoravamo ininterrottamente fino alle sei del mattino e non 
ci sentivamo mai stanchi.Avete deciso di lasciare perdere? 
Beh, sapete che vi dico?! Che io non lascerò perdere, 
nossignore, tornerò là e porrò fine a questa assurdità che ci 
ha già fatto perdere un mucchio di tempo! Checché ne pensi 
lui, io non lo abbandonerò! Sono stato chiaro?!
Al gridò le ultime frasi del suo discorso farfugliante e 
vagamente sconnesso in faccia al proprio tecnico, 
continuando a trascinarlo verso la "camera immagini", 
mentre quello si dibatteva flebilmente, cercando inutilmente 
di farlo ragionare.
La sala controlli era buia, immersa nel più totale silenzio.
-Che diavolo succede qui? Perché Ziggy non è attiva? Ziggy, 
tesoro, non è il momento di scherzare.
-Ziggy si è disattivata circa quattro ore fa, Ammiraglio.
Albert Calavicci fissò Gooshie senza capire il significato 
esatto delle sue parole.
-Quando lei ha perso l'ultimo contatto con il Dottor Beckett è 
praticamente andata in corto circuito. Dice che suo padre la 
vuole abbandonare, che non riesce a capire.Credo che sia 
un po' gelosa della signora Howard.Lei sa quanto Ziggy sia 
permalosa; si è offesa con il Dottor Beckett e ha deciso di 
chiudere bottega per un po'.
Al, giunto ormai allo stremo delle forze e della pazienza, 
afferrò Gooshie per il colletto del pigiama azzurro a quadri 
bianchi e lo costrinse ad abbassare la testa, fino a quando 
non furono occhi negli occhi, in una specie di stravagante 
tète-à-tète.
-Adesso ascoltami con attenzione Gooshie, perché non lo 
ripeterò.Me ne frego dei sentimenti di Ziggy, se si è offesa e 
se ha chiuso bottega.Adesso tu troverai una frequenza e mi 
renderai visibile a Sam e a Lizzie.E voglio che il 
collegamento sia stabile.
-Potrebbero volerci dei giorni, Ammiraglio.Dopo soli dieci 
minuti di tentativi le viene da rimettere ed oggi è pure 
ubriaco.
-Sì, è vero, sono ubriaco e posso diventare violento, lo sai?- 
Lui strinse gli occhi appuntiti e lo fissò con determinazione, 
mentre un sorrisetto diabolico cominciava a solcargli le 
labbra. Gooshie non era mai stato un leone, ma vedere quei 
due occhietti arrossati brillare, fiammeggianti, come quelli di 
una tigre affamata pronta a colpire lo fecero spaventare 
davvero.
-Ammiraglio, non so se è una buona idea.la Dottoressa 
Beeks mi ha fatto promettere, se l'avessi vista, che.
-Gooshie.- Al lo fissò più intensamente: la collera repressa, 
l'impazienza, lo stress e la stanchezza lo avevano messo 
sottopressione come il tappo di una bottiglia di champagne 
agitata troppo velocemente e con molto vigore. L'esplosione 
era imminente e Gooshie decise che era meglio mettersi ai 
ripari, finché ne aveva ancora la possibilità.
-D'accordo Ammiraglio, però il collegamento manuale sarà 
fuori uso.
-Non importa.-Abbandonò gentilmente la stretta in modo 
che lui fosse libero di respirare più velocemente e gli sistemò 
la casacca del pigiama sulle spalle-Non mi servono le 
previsioni di un computer isterico; ho un asso nella manica 
stavolta e sono certo che funzionerà. Deve funzionare!- 
Terminò avviandosi verso la porta della camera immagini, 
continuando a borbottare con se stesso, prima che il tunnel 
temporale, come una specie di gigantesca clessidra, lo 
ingoiasse e la ricerca di Sam attraverso le spirali dell'eternità 
avesse inizio.
Al chiuse gli occhi e strinse le mani a pugno, cercando di 
focalizzare la propria mente su quell'unico pensiero, 
ponderandone per l'ultima volta tutte le implicazioni. Era un 
bene che Ziggy stesse dormendo e che Beeks non si fosse 
accorta di niente; loro non glielo avrebbero lasciato fare.
"Glielo devo dire, o il progetto non esisterà più".
Per la prima volta, Albert Calavicci aveva deciso di giocare 
veramente sporco.
Verbena Beeks si svegliò di soprassalto, si mise a sedere e si 
guardò attorno, cercando di dare forma e proiettare i propri 
incubi sul nero delle pareti che la circondavano. Albert 
Calavicci continuava a preoccuparla e non riusciva a 
distogliere la propria mente dall'immagine di lui, da quella 
sua voce strana quando le aveva dato la buonanotte. Sapeva 
che, quella, sarebbe stata per lui una notte interminabile: 
dover ammettere di aver fallito, dover abbandonare l'amico al 
proprio destino e decidere di andare avanti non era certo una 
cosa semplice.
Lui aveva annuito, si era lasciato spingere nella propria 
stanza come un bambino stanco, aveva mandato via Tina 
con la scusa dell'emicrania e poi la luce si era spenta.
Verbena si morse un'unghia prima di sollevarsi lentamente 
dal letto: conosceva Albert Calavicci da un tempo abbastanza 
lungo per sapere con certezza che avrebbe preferito morire 
piuttosto che arrendersi, che aveva appreso in anni di dura 
gavetta a mascherare le emozioni, a spianare le rughe del 
viso mentre il dolore e la disperazione continuavano a 
rodergli l'anima, attimo dopo attimo, senza lasciare che nulla 
trasparisse ad un occhio poco addestrato. Non poteva aver 
digerito così il voltafaccia di Sam, la decisione avventata e 
sconsiderata del migliore amico; probabilmente adesso si 
stava sbronzando senza ritegno, accusando il mondo, il 
tempo, l'amicizia e sentendosi, ancora una volta, 
disperatamente solo.
Maledisse in silenzio se stessa e la propria stanchezza: si 
rese conto di essere stata messa fuori gioco con facilità, come 
una praticante alle prime armi; se fosse stata più attenta, di 
sicuro avrebbe notato i segni inconfondibili di quella rabbia 
sorda ed infida che certamente lui stava provando e che 
avrebbe potuto portarlo a fare qualche gesto folle e 
sconclusionato.
Allacciò rapidamente la propria camicia da notte, indossò le 
pantofole ed aprì l'uscio con cautela, sporgendo appena il 
capo all'esterno.
Tutto era silenzioso ed, apparentemente, immobile; ma una 
luce filtrava lontana, in direzione della sala controllo, senza 
corpo e così fioca che quasi sembrava un poltergeist o la 
visione di un fuoco fatuo. Ma chi diavolo poteva esserci 
laggiù a quell'ora? Ziggy aveva deciso di dare forfait, Gooshie 
si era ritirato nella propria stanza parecchio prima di lei ed 
Al doveva essere già a letto da un pezzo.
Improvvisamente, una lampadina, come un lampo di luce 
elettrica le illuminò la mente e le rischiarò il pensiero.
-Ammiraglio!- Gridò, dirigendosi a perdifiato verso la stanza 
controllo, sperando che non fosse troppo tardi, che si fosse 
sbagliata, che magari Ziggy si fosse riattivata e avesse acceso 
la luce  unicamente per non sentirsi sola.
Ma sapeva con certezza che non poteva essere così.
-Gooshie, fermo! Devi interrompere!
-E' troppo tardi, Dottoressa Beeks; lo sa anche lei che 
quando un ciclo è iniziato.Non avrei voluto farlo, ma lui mi 
ha costretto!
Beeks annuì lentamente, appoggiandosi alla spalla di 
Gooshie per poter riprendere fiato; da oltre il vetro che 
divideva i due ambienti lo vide inglobato dal tunnel 
temporale prima, poi camminare nervosamente e cominciare 
a parlare rivolto ad un punto preciso della stanza; 
evidentemente, una qualche sorta di contatto doveva essere 
stata stabilita.
Lei emise un lungo sospiro.
E non potè fare altro che rimanere a guardare Albert Calavicci 
faccia a faccia con i demoni neri della propria anima.

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Residenza degli Howard
Sabato, 27 Agosto 1955
Contemporaneamente


Annalisa Howard si mordicchiò le labbra nervosamente e 
corrugò la fronte, passando mentalmente in rassegna tutti i 
cassetti e gli armadi della propria camera da letto, cercando 
di fare mente locale e di ricordare l'ubicazione di tutte le 
proprie cose, quindi si avvicinò al cassettone che stava 
dirimpetto al letto matrimoniale, lo aprì con il solito consueto 
gesto che Gordon non era mai stato in grado di imparare e ne 
estrasse una busta di carta cilestrina, contenente i risparmi 
di una vita. Quindi si avvicinò con circospezione alla piccola 
valigia di cuoio che stazionava, spalancata come le fauci di 
un ippopotamo a riposo, in attesa sul letto ed emise un 
sospiro.
Ancora non riusciva a credere a quello che le stava 
capitando, la propria mente si rifiutava di concepire, di farle 
soltanto vagamente immaginare quel futuro grigio plumbeo 
che aveva imparato dolorosamente ad accettare come 
proprio, tingersi improvvisamente di tutto l'arcobaleno dei 
propri sogni.
-Ho un piano.-Le aveva sussurrato Sam, mentre lei era 
ancora sospesa tra il sonno e la veglia, avvolta dalla coperta 
da pic nic ed incerta di quale fosse la realtà.
Poi, mano a mano che lui le sviscerava il proprio pensiero ed 
anche la sua anima si lasciava attanagliare dalla sicurezza 
delle sue idee, dalla sua convinzione, il proprio cuore aveva 
cominciato ad accelerare e le aveva messo le ali ai piedi, 
spingendo la propria mente a credere nell'impossibile: non 
solo Sam non se ne sarebbe andato via mai più, ma l'avrebbe 
portata con sé, lontano, magari nell'Indiana e avrebbero 
vissuto assieme i migliori anni della loro vita.
-E se non dovesse funzionare? Se tu dovessi saltare?- La 
domanda le era uscita così, smozzicata tra i baci leggeri che 
si stavano scambiando, mentre Gary li riportava 
trotterellando, di nuovo verso casa.
-Comunque con Dick saresti al sicuro, so per certo che lui 
nutre una certa simpatia per te.- Il suo sguardo si era 
oscurato per un secondo, Sam aveva aggrottato le ciglia 
fissando un punto al di là dell'orizzonte infuocato, poi aveva 
ripreso, stringendola con vigore:- ma deve funzionare! So che 
funzionerà, ne sono certo! Niente è impossibile, se saremo 
uniti- poi l'aveva baciata con passione e le aveva infuso il 
coraggio necessario per tornare nella sua camera da letto, 
quella in cui aveva pianto attraversata dal dolore per così 
tante notti, prendere la valigia di Gordon, quella delle 
occasioni importanti e cominciare a riempirla della propria 
biancheria.
Soltanto ieri pomeriggio aveva preparato un'altra valigia: suo 
marito se n'era andato dopo averla picchiata selvaggiamente.
E lei e Sam avevano fatto l'amore per la prima volta.
Lizzie si sedette sul letto con le gambe molli e la testa 
pesante: spezzare tutte le catene che l'avevano oppressa da 
tanti anni e spiccare il volo verso la libertà non era una cosa 
da poco.
Sentì le mani di Sam accarezzarle le spalle con un tocco 
leggero, come quello di una piuma mossa gentilmente dal 
vento.
-La cena è quasi pronta.Hai finito qui?- Le domandò e poi la 
baciò delicatamente sul collo.
Lizzie annuì pensosamente, ma non emise alcun suono.
-Lizzie.-Lui le si sedette accanto e le prese le mani- Che 
succede?
-Ho.Paura, credo.Mi sento così stupida!
Sam l'abbracciò stretta scotendo la testa.
-Anch'io ho paura, una paura folle di non poter restare.Se 
questo non funzionasse, se non potessi più rivederti.Ma 
non posso non tentare; sarebbe come gettare una perla 
magnifica per terra e calpestarla senza alcun ritegno! Non 
voglio perderti, non ora che ti ho avuta, che so quanto anche 
tu mi ami.Ti prego, non abbandonarmi adesso!
-Tranquillo Dottor Beckett- Lei gli sorrise radiosa e si alzò di 
scatto, chiudendo con vigore la valigia ancora aperta:- Per 
noi italiani ogni promessa è un debito.Verrò con te, 
ovunque vorrai!.
Lui si alzò annuendo felice. 
Le loro labbra si fusero di nuovo assieme, fugando i dubbi e 
fortificando le certezze.
Il tempo, in quella stanza che non aveva mai conosciuto la 
gioia, si fermò per un lunghissimo istante.
Sam e Lizzie erano ancora avvinti, l'una tra le braccia 
dell'altro, incapaci di sciogliersi dall'ennesimo abbraccio, 
quando Al apparve, l'immagine olografica paurosamente 
distorta e quasi semitrasparente. All'inizio neppure si 
accorsero di quel rumore intermittente, finché lui non 
tossicchiò evidentemente scocciato ed entrambi non si 
voltarono come colombi richiamati dalla voce dell'allevatore.
-Al.- Dissero insieme, stupiti e preoccupati di vederlo, 
mentre un'espressione colpevole compariva simultaneamente 
sulla faccia di tutti e due gli interessati.
-Non è granché come saluto ma mi posso accontentare.-Il 
suo sguardo era severo e fermo, ogni traccia di emotività 
giaceva sepolta e, al momento, non gli procurava alcun 
fastidio.
-Perché sei tornato?
-Perché c'è una cosa che tu devi sapere, prima di commettere 
una sciocchezza.
-Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, non ti ascolterò!
-Ma devi farlo! Comunque non potresti ignorarmi anche se lo 
volessi.Sono un ologramma, non so ancora per quanto e 
nessuna barriera architettonica può bloccarmi, lo sai!
Sam annuì e sospirò, abbassando gli occhi a terra.
-Sentiamo.-Afferrò la mano di Lizzie, che improvvisamente 
si era fatta gelida come una lastra di marmo e la strinse 
forte, come se fosse la sua ultima disperata speranza ma 
qualcosa, forse in fondo agli occhi rossi di Al o forse dentro di 
sè, cominciò a dilaniarlo come gli artigli di un gatto infuriato.
-Non puoi andare via con lei, Sam, non puoi proprio farlo.
-Perché no?- Lizzie aveva chiesto sottovoce, rivolta più a Sam 
che ad Al, come se lui sapesse già quello che l'amico stava 
per rivelargli.
Al fece un profondo respiro: quello che stava per fare era 
immorale e scorretto, era l'affronto peggiore che potesse 
architettare contro la loro amicizia, non ci sarebbero state 
giustificazioni ma solo la speranza che Sam, una volta 
saltato, non si ricordasse più di quello che lui stava per 
dirgli. Un altro respiro, tanto per avere il tempo di trovare le 
parole adatte ed un po' di saliva con cui inumidire le proprie 
labbra, fattesi improvvisamente secche per l'emozione.
-Perché il Dottor Samuel Beckett è già sposato e sua moglie, 
tutt'ora vivente.
-Sta zitto!- Sam gli gridò, ma il tono era più una supplica che 
un ordine.
-E sua moglie, tutt'ora vivente è una dottoressa che lavora al 
Progetto.
-Stai mentendo.Stai mentendo!- Sam scuoteva la testa e si 
dimenava come un forsennato ed Al era certo che, se avesse 
potuto, lo avrebbe preso a pugni disperatamente; ma nel suo 
cuore sapeva che era così, che quella era la pura verità, che 
sarebbe bastato scavare un po' più approfonditamente tra la 
nebbia dei ricordi e qualcosa, la massa dei suoi capelli scuri, 
forse il portamento fiero o lo sguardo intelligente, sarebbe 
saltato certamente fuori.
-Si chiama Donna Elisee, Sam! Non puoi non ricordarla 
affatto!
-Bugiardo!
-Pensaci Sam, tu sai che è vero!
Ecco fatto: la bomba era scoppiata. Al abbandonò le braccia 
lungo il corpo, mentre il collegamento manuale che, per 
sicurezza, comunque Gooshie gli aveva inserito in tasca 
all'ultimo momento, cominciava a brillare ed a squittire con 
disperazione e rabbia, ricordandogli l'enormità di quello che 
aveva appena compiuto: aveva violato le regole, aveva 
ricordato a Sam qualcosa che nessuno gli aveva dato il 
permesso di dire, aveva ferito l'unico amico che aveva nel 
profondo e adesso era uno strazio starlo a guardare, con  gli 
occhi sbarrati, incapace di dire una parola. Era come un 
vecchio specchio colpito violentemente da un sasso scagliato 
da un teppista: la superficie, già segnata da venature quasi 
impercettibili dovute ad anni di estenuante lavoro senza 
alcuna possibilità di riposo, si era fatalmente incrinata e 
sminuzzata in tanti piccoli cristalli che si stavano staccando, 
seminando le parti della propria anima senza possibilità di 
una benché minima ricostruzione.
-Donna.-Lui continuava a sussurrare, lottando contro la 
propria coscienza che aveva cominciato a ricostruire, 
dolorosamente, un volto ingoiato dal tempo ed a 
presentarglielo spontaneamente dinnanzi agli occhi della 
mente. Lizzie era rimasta seduta, come pietrificata sul letto 
matrimoniale: fissava Sam con uno sguardo già velato di 
lacrime, mentre sentiva nelle orecchie, misto ai rumori di 
una tempesta che si stava avvicinando, i propri sogni appena 
nati morire, uccisi dal fantasma di un'altra donna.
Niente sarebbe stato più lo stesso tra di loro, ammesso che 
Sam avesse deciso ancora di restare: la larva di Lei, di quella 
donna, la Dottoressa Beckett, la legittimità, si era ormai 
insinuata tra le loro menti e nessuno dei due sarebbe stato 
capace di ignorarla ancora a lungo.
Adesso anche l'immagine di Gordon, evocata da quella della 
moglie di Sam, era entrata con prepotenza a distruggere 
quello che ancora restava del suo avvenire e le ricordava, 
tuonando minacciosa con quella voce grossa e sgraziata, che 
se soltanto si fosse azzardata ad allontanarsi, gliel'avrebbe 
fatta pagare molto salata. Inconsciamente, Lizzie si toccò la 
guancia dove lui l'aveva picchiata e scoppiò in lacrime.
-Mi dispiace, Sam.- Al si sentiva un verme: se il terreno si 
fosse spalancato e lo avesse inghiottito, ne sarebbe stato per 
sempre riconoscente.
Ma non successe nulla: la terra continuò il suo folle 
cammino attorno al sole, apparentemente inconscia di tutto 
quello che stava morendo, assieme al passare di una 
giornata.
-Lizzie.Lizzie guardami.-Sam la sollevò e portò i loro occhi 
sullo stesso piano:- Non voglio rinunciare, mi hai sentito?
Lei scosse la testa e si allontanò, sciogliendosi dal suo 
abbraccio.
-No.Non possiamo.
-Sì che possiamo.Non posso rinunciare a te, capisci? Lei 
non conta niente per me.
-Ma per me sì! 
-Ma io non la amo.
-Tu non te la ricordi neanche! Sam, non posso permettermi 
di amarti.Tu non appartieni a questo tempo, hai già una 
moglie e una vita che ti aspetta.
-La mia vita è dove ci sei tu!- L'afferrò per le spalle e se la 
portò accanto, fissandola intensamente: -Lizzie, ma non 
capisci che io voglio te.Voglio.Vivere con te, avere dei figli 
da te e voglio che ti assomiglino, voglio fare l'amore con te, 
respirare la tua pelle che sa di sale e gelsomino.Voglio 
addormentarmi la sera sicuro che domani ti rivedrò ancora, 
voglio il tuo corpo che ormai ho imparato a conoscere così 
bene, voglio che tu sciolga i tuoi capelli e danzi soltanto per 
me, voglio amarti e farti felice e sapere che questa è l'unica 
missione che devo compiere e poi voglio invecchiare con te e 
morire con te e tutto il resto con te e se lo vuoi anche tu 
allora il resto non conta.Chiudiamo fuori il passato Lizzie, 
perché non conosco altro futuro, fuori dai tuoi occhi. Allora, 
che ne dici?
Lei corrugò la fronte, cercando di trattenere le lacrime, ma 
già i suoi occhi stavano riacquistando quella luce che 
avevano assunto, sin dal primo momento che lo avevano 
accarezzato inquieti. 
Si gettò tra le sue braccia e appoggiò l'orecchio sul suo petto, 
per ascoltarne il battito cardiaco.
Quel ritmo, forte e regolare, le assicurò che Sam stava dicendo 
la verità.
L'Ammiraglio Calavicci rimase senza parole di fronte a 
quell'amore enorme e pazzo, che preferiva chiudere gli occhi 
e rendersi cieco, purché si potesse restare ancora insieme. Il 
collegamento manuale che, per la verità non aveva mai 
cessato di frignare, squillò di nuovo imperiosamente.
Con un sospiro stanco e l'espressione di chi ha perso la 
battaglia più importante della propria vita, Al spalancò la 
porta della camera immagini e si lasciò il passato alle spalle.
-Ammiraglio.
Verbena Beeks gli si avvicinò e gli appoggiò con simpatia una 
mano sulla spalla.
-Ammiraglio.
-Dimmi tutto Ziggy.-Ma il suo sguardo lontano mostrava 
chiaramente quanti anni luce ci fossero tra la sua mente e 
l'elaboratore ibrido parallelo.
-Se la Dottoressa Beeks non mi avesse avvertita in tempo.
-Ti saresti persa la scena madre, non è così?-Ghignò Al, 
maledicendola in cuor suo perché si era riattivata giusto in 
tempo per annotare nella sua memoria da elefante il proprio 
cocente fallimento.
-Ammiraglio, la prego, non sia arrabbiato con me 
adesso.Ma se lei non si fosse lanciato così avventatamente 
nella camera immagini e mi avesse chiesto un consiglio.
-Stavi dormendo, tesoro, non volevo disturbarti-le rispose 
ironico, detestandola senza pietà.
-Ciò non è esatto.
-Ziggy, se non hai altro da dirmi.Ho la testa che mi pulsa, 
una sbornia da smaltire ed un senatore a cui dire che è tutto 
finito.Perciò ora, se vuoi scusarmi.
-Se non mi sta a sentire, Ammiraglio, dovrà aggiungere al 
suo carnet anche la morte del Dottor Beckett e quella di 
Annalisa Howard.
-Cosa?! Sei impazzita?
-No, Ammiraglio, gliel'ho detto; se lei mi avesse consultata 
prima.
-Piantala con i rimproveri e dimmi che diavolo sta per 
succedere.
-Marinai.Che rudi! Comunque, se proprio lo vuole sapere.-
Un'altra pausa e ad Al quasi venne un infarto.- Ci sono 98 
probabilità su 100 che i soggetti in questione muoiano entro i 
prossimi otto minuti.Secondo i miei calcoli, Gordon Howard 
sta per fare irruzione nella camera da letto della propria casa 
e quando vi entrerà scoprirà.
-Frena un secondo! Hai detto che Gordon sarebbe stato fuori 
fino a domenica sera!
-Ma il Dottor Beckett ha cambiato la storia ieri pomeriggio, 
quando ha fatto scappare gli animali dalla stalla per cercare 
di liberare la signora Howard dalle pressanti attenzioni del 
marito. Gordon Howard non si fida più di Richard Wright ed 
ha deciso di ritornare un giorno prima, per fare la festa a lui 
e salutare a dovere la tenera mogliettina.
Albert Calavicci si precipitò di nuovo nella camera immagini.
Ma, quando le proprie pupille si adattarono alla penombra 
della camera da letto, semi inghiottita dall'oscurità del 
temporale che si era scatenato per tutta***in quella manciata 
di minuti in cui lui era tornato indietro, seppe con la certezza 
del proprio istinto che, stavolta, non ci sarebbe purtroppo stato 
molto da fare.