CHAPTER EIGHT Progetto Quantum Leap Stallions Gate, New Mexico Mercoledì, 17 Aprile 1999 Ore 23:47 I passi malfermi di Albert Calavicci risuonarono cupi nella vastità e nel silenzio degli enormi corridoi sotterranei: stavano dormendo tutti. Tutti tranne lui. Dovette avvicinarsi alla fredda parete per riuscire a muovere gli altri passi malsicuri e giungere così sull'uscio dell'alloggio di Gooshie, sulla porta del quale scaricò un pugno con tutta la violenza di cui era capace. -Gooshie.Gooshie svegliati, maledizione! -Ammiraglio.ma che succede?- L'omino basso dai capelli rossi ed il fiato pestilenziale sgranò tanto d'occhi non appena il suo sguardo si appoggiò sul viso del proprio interlocutore e rimase, per un secondo, senza parole. L'Ammiraglio Calavicci era sconvolto: i capelli arruffati, la barba incolta, indossava ancora la camicia del giorno prima e neppure i pantaloncini cachi avevano un buon aspetto; gli occhi, piccoli e stanchi, erano rossi ed infiammati e cerchiati da delle profonde occhiaie bluastre che lasciavano solamente intuire da quanto tempo non riuscisse più a dormire almeno cinque ore filate di sonno. E poi si reggeva faticosamente alla parete, come se avvertisse il pavimento sotto ai suoi piedi girare vorticosamente, il corpo scosso da dai tremiti irregolari ed il fiato corto ed impregnato d'alcol. -Ammiraglio.E' ubriaco?! -Non ti pago per farmi da medico!- Lui lo afferrò con violenza con le dita della mano destra e lo trascinò fuori dal proprio alloggio.-Cos'è, si batte la fiacca? Una volta io e Sam lavoravamo ininterrottamente fino alle sei del mattino e non ci sentivamo mai stanchi.Avete deciso di lasciare perdere? Beh, sapete che vi dico?! Che io non lascerò perdere, nossignore, tornerò là e porrò fine a questa assurdità che ci ha già fatto perdere un mucchio di tempo! Checché ne pensi lui, io non lo abbandonerò! Sono stato chiaro?! Al gridò le ultime frasi del suo discorso farfugliante e vagamente sconnesso in faccia al proprio tecnico, continuando a trascinarlo verso la "camera immagini", mentre quello si dibatteva flebilmente, cercando inutilmente di farlo ragionare. La sala controlli era buia, immersa nel più totale silenzio. -Che diavolo succede qui? Perché Ziggy non è attiva? Ziggy, tesoro, non è il momento di scherzare. -Ziggy si è disattivata circa quattro ore fa, Ammiraglio. Albert Calavicci fissò Gooshie senza capire il significato esatto delle sue parole. -Quando lei ha perso l'ultimo contatto con il Dottor Beckett è praticamente andata in corto circuito. Dice che suo padre la vuole abbandonare, che non riesce a capire.Credo che sia un po' gelosa della signora Howard.Lei sa quanto Ziggy sia permalosa; si è offesa con il Dottor Beckett e ha deciso di chiudere bottega per un po'. Al, giunto ormai allo stremo delle forze e della pazienza, afferrò Gooshie per il colletto del pigiama azzurro a quadri bianchi e lo costrinse ad abbassare la testa, fino a quando non furono occhi negli occhi, in una specie di stravagante tète-à-tète. -Adesso ascoltami con attenzione Gooshie, perché non lo ripeterò.Me ne frego dei sentimenti di Ziggy, se si è offesa e se ha chiuso bottega.Adesso tu troverai una frequenza e mi renderai visibile a Sam e a Lizzie.E voglio che il collegamento sia stabile. -Potrebbero volerci dei giorni, Ammiraglio.Dopo soli dieci minuti di tentativi le viene da rimettere ed oggi è pure ubriaco. -Sì, è vero, sono ubriaco e posso diventare violento, lo sai?- Lui strinse gli occhi appuntiti e lo fissò con determinazione, mentre un sorrisetto diabolico cominciava a solcargli le labbra. Gooshie non era mai stato un leone, ma vedere quei due occhietti arrossati brillare, fiammeggianti, come quelli di una tigre affamata pronta a colpire lo fecero spaventare davvero. -Ammiraglio, non so se è una buona idea.la Dottoressa Beeks mi ha fatto promettere, se l'avessi vista, che. -Gooshie.- Al lo fissò più intensamente: la collera repressa, l'impazienza, lo stress e la stanchezza lo avevano messo sottopressione come il tappo di una bottiglia di champagne agitata troppo velocemente e con molto vigore. L'esplosione era imminente e Gooshie decise che era meglio mettersi ai ripari, finché ne aveva ancora la possibilità. -D'accordo Ammiraglio, però il collegamento manuale sarà fuori uso. -Non importa.-Abbandonò gentilmente la stretta in modo che lui fosse libero di respirare più velocemente e gli sistemò la casacca del pigiama sulle spalle-Non mi servono le previsioni di un computer isterico; ho un asso nella manica stavolta e sono certo che funzionerà. Deve funzionare!- Terminò avviandosi verso la porta della camera immagini, continuando a borbottare con se stesso, prima che il tunnel temporale, come una specie di gigantesca clessidra, lo ingoiasse e la ricerca di Sam attraverso le spirali dell'eternità avesse inizio. Al chiuse gli occhi e strinse le mani a pugno, cercando di focalizzare la propria mente su quell'unico pensiero, ponderandone per l'ultima volta tutte le implicazioni. Era un bene che Ziggy stesse dormendo e che Beeks non si fosse accorta di niente; loro non glielo avrebbero lasciato fare. "Glielo devo dire, o il progetto non esisterà più". Per la prima volta, Albert Calavicci aveva deciso di giocare veramente sporco. Verbena Beeks si svegliò di soprassalto, si mise a sedere e si guardò attorno, cercando di dare forma e proiettare i propri incubi sul nero delle pareti che la circondavano. Albert Calavicci continuava a preoccuparla e non riusciva a distogliere la propria mente dall'immagine di lui, da quella sua voce strana quando le aveva dato la buonanotte. Sapeva che, quella, sarebbe stata per lui una notte interminabile: dover ammettere di aver fallito, dover abbandonare l'amico al proprio destino e decidere di andare avanti non era certo una cosa semplice. Lui aveva annuito, si era lasciato spingere nella propria stanza come un bambino stanco, aveva mandato via Tina con la scusa dell'emicrania e poi la luce si era spenta. Verbena si morse un'unghia prima di sollevarsi lentamente dal letto: conosceva Albert Calavicci da un tempo abbastanza lungo per sapere con certezza che avrebbe preferito morire piuttosto che arrendersi, che aveva appreso in anni di dura gavetta a mascherare le emozioni, a spianare le rughe del viso mentre il dolore e la disperazione continuavano a rodergli l'anima, attimo dopo attimo, senza lasciare che nulla trasparisse ad un occhio poco addestrato. Non poteva aver digerito così il voltafaccia di Sam, la decisione avventata e sconsiderata del migliore amico; probabilmente adesso si stava sbronzando senza ritegno, accusando il mondo, il tempo, l'amicizia e sentendosi, ancora una volta, disperatamente solo. Maledisse in silenzio se stessa e la propria stanchezza: si rese conto di essere stata messa fuori gioco con facilità, come una praticante alle prime armi; se fosse stata più attenta, di sicuro avrebbe notato i segni inconfondibili di quella rabbia sorda ed infida che certamente lui stava provando e che avrebbe potuto portarlo a fare qualche gesto folle e sconclusionato. Allacciò rapidamente la propria camicia da notte, indossò le pantofole ed aprì l'uscio con cautela, sporgendo appena il capo all'esterno. Tutto era silenzioso ed, apparentemente, immobile; ma una luce filtrava lontana, in direzione della sala controllo, senza corpo e così fioca che quasi sembrava un poltergeist o la visione di un fuoco fatuo. Ma chi diavolo poteva esserci laggiù a quell'ora? Ziggy aveva deciso di dare forfait, Gooshie si era ritirato nella propria stanza parecchio prima di lei ed Al doveva essere già a letto da un pezzo. Improvvisamente, una lampadina, come un lampo di luce elettrica le illuminò la mente e le rischiarò il pensiero. -Ammiraglio!- Gridò, dirigendosi a perdifiato verso la stanza controllo, sperando che non fosse troppo tardi, che si fosse sbagliata, che magari Ziggy si fosse riattivata e avesse acceso la luce unicamente per non sentirsi sola. Ma sapeva con certezza che non poteva essere così. -Gooshie, fermo! Devi interrompere! -E' troppo tardi, Dottoressa Beeks; lo sa anche lei che quando un ciclo è iniziato.Non avrei voluto farlo, ma lui mi ha costretto! Beeks annuì lentamente, appoggiandosi alla spalla di Gooshie per poter riprendere fiato; da oltre il vetro che divideva i due ambienti lo vide inglobato dal tunnel temporale prima, poi camminare nervosamente e cominciare a parlare rivolto ad un punto preciso della stanza; evidentemente, una qualche sorta di contatto doveva essere stata stabilita. Lei emise un lungo sospiro. E non potè fare altro che rimanere a guardare Albert Calavicci faccia a faccia con i demoni neri della propria anima. -------------------------------------------------------------------------------- Residenza degli Howard Sabato, 27 Agosto 1955 Contemporaneamente Annalisa Howard si mordicchiò le labbra nervosamente e corrugò la fronte, passando mentalmente in rassegna tutti i cassetti e gli armadi della propria camera da letto, cercando di fare mente locale e di ricordare l'ubicazione di tutte le proprie cose, quindi si avvicinò al cassettone che stava dirimpetto al letto matrimoniale, lo aprì con il solito consueto gesto che Gordon non era mai stato in grado di imparare e ne estrasse una busta di carta cilestrina, contenente i risparmi di una vita. Quindi si avvicinò con circospezione alla piccola valigia di cuoio che stazionava, spalancata come le fauci di un ippopotamo a riposo, in attesa sul letto ed emise un sospiro. Ancora non riusciva a credere a quello che le stava capitando, la propria mente si rifiutava di concepire, di farle soltanto vagamente immaginare quel futuro grigio plumbeo che aveva imparato dolorosamente ad accettare come proprio, tingersi improvvisamente di tutto l'arcobaleno dei propri sogni. -Ho un piano.-Le aveva sussurrato Sam, mentre lei era ancora sospesa tra il sonno e la veglia, avvolta dalla coperta da pic nic ed incerta di quale fosse la realtà. Poi, mano a mano che lui le sviscerava il proprio pensiero ed anche la sua anima si lasciava attanagliare dalla sicurezza delle sue idee, dalla sua convinzione, il proprio cuore aveva cominciato ad accelerare e le aveva messo le ali ai piedi, spingendo la propria mente a credere nell'impossibile: non solo Sam non se ne sarebbe andato via mai più, ma l'avrebbe portata con sé, lontano, magari nell'Indiana e avrebbero vissuto assieme i migliori anni della loro vita. -E se non dovesse funzionare? Se tu dovessi saltare?- La domanda le era uscita così, smozzicata tra i baci leggeri che si stavano scambiando, mentre Gary li riportava trotterellando, di nuovo verso casa. -Comunque con Dick saresti al sicuro, so per certo che lui nutre una certa simpatia per te.- Il suo sguardo si era oscurato per un secondo, Sam aveva aggrottato le ciglia fissando un punto al di là dell'orizzonte infuocato, poi aveva ripreso, stringendola con vigore:- ma deve funzionare! So che funzionerà, ne sono certo! Niente è impossibile, se saremo uniti- poi l'aveva baciata con passione e le aveva infuso il coraggio necessario per tornare nella sua camera da letto, quella in cui aveva pianto attraversata dal dolore per così tante notti, prendere la valigia di Gordon, quella delle occasioni importanti e cominciare a riempirla della propria biancheria. Soltanto ieri pomeriggio aveva preparato un'altra valigia: suo marito se n'era andato dopo averla picchiata selvaggiamente. E lei e Sam avevano fatto l'amore per la prima volta. Lizzie si sedette sul letto con le gambe molli e la testa pesante: spezzare tutte le catene che l'avevano oppressa da tanti anni e spiccare il volo verso la libertà non era una cosa da poco. Sentì le mani di Sam accarezzarle le spalle con un tocco leggero, come quello di una piuma mossa gentilmente dal vento. -La cena è quasi pronta.Hai finito qui?- Le domandò e poi la baciò delicatamente sul collo. Lizzie annuì pensosamente, ma non emise alcun suono. -Lizzie.-Lui le si sedette accanto e le prese le mani- Che succede? -Ho.Paura, credo.Mi sento così stupida! Sam l'abbracciò stretta scotendo la testa. -Anch'io ho paura, una paura folle di non poter restare.Se questo non funzionasse, se non potessi più rivederti.Ma non posso non tentare; sarebbe come gettare una perla magnifica per terra e calpestarla senza alcun ritegno! Non voglio perderti, non ora che ti ho avuta, che so quanto anche tu mi ami.Ti prego, non abbandonarmi adesso! -Tranquillo Dottor Beckett- Lei gli sorrise radiosa e si alzò di scatto, chiudendo con vigore la valigia ancora aperta:- Per noi italiani ogni promessa è un debito.Verrò con te, ovunque vorrai!. Lui si alzò annuendo felice. Le loro labbra si fusero di nuovo assieme, fugando i dubbi e fortificando le certezze. Il tempo, in quella stanza che non aveva mai conosciuto la gioia, si fermò per un lunghissimo istante. Sam e Lizzie erano ancora avvinti, l'una tra le braccia dell'altro, incapaci di sciogliersi dall'ennesimo abbraccio, quando Al apparve, l'immagine olografica paurosamente distorta e quasi semitrasparente. All'inizio neppure si accorsero di quel rumore intermittente, finché lui non tossicchiò evidentemente scocciato ed entrambi non si voltarono come colombi richiamati dalla voce dell'allevatore. -Al.- Dissero insieme, stupiti e preoccupati di vederlo, mentre un'espressione colpevole compariva simultaneamente sulla faccia di tutti e due gli interessati. -Non è granché come saluto ma mi posso accontentare.-Il suo sguardo era severo e fermo, ogni traccia di emotività giaceva sepolta e, al momento, non gli procurava alcun fastidio. -Perché sei tornato? -Perché c'è una cosa che tu devi sapere, prima di commettere una sciocchezza. -Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, non ti ascolterò! -Ma devi farlo! Comunque non potresti ignorarmi anche se lo volessi.Sono un ologramma, non so ancora per quanto e nessuna barriera architettonica può bloccarmi, lo sai! Sam annuì e sospirò, abbassando gli occhi a terra. -Sentiamo.-Afferrò la mano di Lizzie, che improvvisamente si era fatta gelida come una lastra di marmo e la strinse forte, come se fosse la sua ultima disperata speranza ma qualcosa, forse in fondo agli occhi rossi di Al o forse dentro di sè, cominciò a dilaniarlo come gli artigli di un gatto infuriato. -Non puoi andare via con lei, Sam, non puoi proprio farlo. -Perché no?- Lizzie aveva chiesto sottovoce, rivolta più a Sam che ad Al, come se lui sapesse già quello che l'amico stava per rivelargli. Al fece un profondo respiro: quello che stava per fare era immorale e scorretto, era l'affronto peggiore che potesse architettare contro la loro amicizia, non ci sarebbero state giustificazioni ma solo la speranza che Sam, una volta saltato, non si ricordasse più di quello che lui stava per dirgli. Un altro respiro, tanto per avere il tempo di trovare le parole adatte ed un po' di saliva con cui inumidire le proprie labbra, fattesi improvvisamente secche per l'emozione. -Perché il Dottor Samuel Beckett è già sposato e sua moglie, tutt'ora vivente. -Sta zitto!- Sam gli gridò, ma il tono era più una supplica che un ordine. -E sua moglie, tutt'ora vivente è una dottoressa che lavora al Progetto. -Stai mentendo.Stai mentendo!- Sam scuoteva la testa e si dimenava come un forsennato ed Al era certo che, se avesse potuto, lo avrebbe preso a pugni disperatamente; ma nel suo cuore sapeva che era così, che quella era la pura verità, che sarebbe bastato scavare un po' più approfonditamente tra la nebbia dei ricordi e qualcosa, la massa dei suoi capelli scuri, forse il portamento fiero o lo sguardo intelligente, sarebbe saltato certamente fuori. -Si chiama Donna Elisee, Sam! Non puoi non ricordarla affatto! -Bugiardo! -Pensaci Sam, tu sai che è vero! Ecco fatto: la bomba era scoppiata. Al abbandonò le braccia lungo il corpo, mentre il collegamento manuale che, per sicurezza, comunque Gooshie gli aveva inserito in tasca all'ultimo momento, cominciava a brillare ed a squittire con disperazione e rabbia, ricordandogli l'enormità di quello che aveva appena compiuto: aveva violato le regole, aveva ricordato a Sam qualcosa che nessuno gli aveva dato il permesso di dire, aveva ferito l'unico amico che aveva nel profondo e adesso era uno strazio starlo a guardare, con gli occhi sbarrati, incapace di dire una parola. Era come un vecchio specchio colpito violentemente da un sasso scagliato da un teppista: la superficie, già segnata da venature quasi impercettibili dovute ad anni di estenuante lavoro senza alcuna possibilità di riposo, si era fatalmente incrinata e sminuzzata in tanti piccoli cristalli che si stavano staccando, seminando le parti della propria anima senza possibilità di una benché minima ricostruzione. -Donna.-Lui continuava a sussurrare, lottando contro la propria coscienza che aveva cominciato a ricostruire, dolorosamente, un volto ingoiato dal tempo ed a presentarglielo spontaneamente dinnanzi agli occhi della mente. Lizzie era rimasta seduta, come pietrificata sul letto matrimoniale: fissava Sam con uno sguardo già velato di lacrime, mentre sentiva nelle orecchie, misto ai rumori di una tempesta che si stava avvicinando, i propri sogni appena nati morire, uccisi dal fantasma di un'altra donna. Niente sarebbe stato più lo stesso tra di loro, ammesso che Sam avesse deciso ancora di restare: la larva di Lei, di quella donna, la Dottoressa Beckett, la legittimità, si era ormai insinuata tra le loro menti e nessuno dei due sarebbe stato capace di ignorarla ancora a lungo. Adesso anche l'immagine di Gordon, evocata da quella della moglie di Sam, era entrata con prepotenza a distruggere quello che ancora restava del suo avvenire e le ricordava, tuonando minacciosa con quella voce grossa e sgraziata, che se soltanto si fosse azzardata ad allontanarsi, gliel'avrebbe fatta pagare molto salata. Inconsciamente, Lizzie si toccò la guancia dove lui l'aveva picchiata e scoppiò in lacrime. -Mi dispiace, Sam.- Al si sentiva un verme: se il terreno si fosse spalancato e lo avesse inghiottito, ne sarebbe stato per sempre riconoscente. Ma non successe nulla: la terra continuò il suo folle cammino attorno al sole, apparentemente inconscia di tutto quello che stava morendo, assieme al passare di una giornata. -Lizzie.Lizzie guardami.-Sam la sollevò e portò i loro occhi sullo stesso piano:- Non voglio rinunciare, mi hai sentito? Lei scosse la testa e si allontanò, sciogliendosi dal suo abbraccio. -No.Non possiamo. -Sì che possiamo.Non posso rinunciare a te, capisci? Lei non conta niente per me. -Ma per me sì! -Ma io non la amo. -Tu non te la ricordi neanche! Sam, non posso permettermi di amarti.Tu non appartieni a questo tempo, hai già una moglie e una vita che ti aspetta. -La mia vita è dove ci sei tu!- L'afferrò per le spalle e se la portò accanto, fissandola intensamente: -Lizzie, ma non capisci che io voglio te.Voglio.Vivere con te, avere dei figli da te e voglio che ti assomiglino, voglio fare l'amore con te, respirare la tua pelle che sa di sale e gelsomino.Voglio addormentarmi la sera sicuro che domani ti rivedrò ancora, voglio il tuo corpo che ormai ho imparato a conoscere così bene, voglio che tu sciolga i tuoi capelli e danzi soltanto per me, voglio amarti e farti felice e sapere che questa è l'unica missione che devo compiere e poi voglio invecchiare con te e morire con te e tutto il resto con te e se lo vuoi anche tu allora il resto non conta.Chiudiamo fuori il passato Lizzie, perché non conosco altro futuro, fuori dai tuoi occhi. Allora, che ne dici? Lei corrugò la fronte, cercando di trattenere le lacrime, ma già i suoi occhi stavano riacquistando quella luce che avevano assunto, sin dal primo momento che lo avevano accarezzato inquieti. Si gettò tra le sue braccia e appoggiò l'orecchio sul suo petto, per ascoltarne il battito cardiaco. Quel ritmo, forte e regolare, le assicurò che Sam stava dicendo la verità. L'Ammiraglio Calavicci rimase senza parole di fronte a quell'amore enorme e pazzo, che preferiva chiudere gli occhi e rendersi cieco, purché si potesse restare ancora insieme. Il collegamento manuale che, per la verità non aveva mai cessato di frignare, squillò di nuovo imperiosamente. Con un sospiro stanco e l'espressione di chi ha perso la battaglia più importante della propria vita, Al spalancò la porta della camera immagini e si lasciò il passato alle spalle. -Ammiraglio. Verbena Beeks gli si avvicinò e gli appoggiò con simpatia una mano sulla spalla. -Ammiraglio. -Dimmi tutto Ziggy.-Ma il suo sguardo lontano mostrava chiaramente quanti anni luce ci fossero tra la sua mente e l'elaboratore ibrido parallelo. -Se la Dottoressa Beeks non mi avesse avvertita in tempo. -Ti saresti persa la scena madre, non è così?-Ghignò Al, maledicendola in cuor suo perché si era riattivata giusto in tempo per annotare nella sua memoria da elefante il proprio cocente fallimento. -Ammiraglio, la prego, non sia arrabbiato con me adesso.Ma se lei non si fosse lanciato così avventatamente nella camera immagini e mi avesse chiesto un consiglio. -Stavi dormendo, tesoro, non volevo disturbarti-le rispose ironico, detestandola senza pietà. -Ciò non è esatto. -Ziggy, se non hai altro da dirmi.Ho la testa che mi pulsa, una sbornia da smaltire ed un senatore a cui dire che è tutto finito.Perciò ora, se vuoi scusarmi. -Se non mi sta a sentire, Ammiraglio, dovrà aggiungere al suo carnet anche la morte del Dottor Beckett e quella di Annalisa Howard. -Cosa?! Sei impazzita? -No, Ammiraglio, gliel'ho detto; se lei mi avesse consultata prima. -Piantala con i rimproveri e dimmi che diavolo sta per succedere. -Marinai.Che rudi! Comunque, se proprio lo vuole sapere.- Un'altra pausa e ad Al quasi venne un infarto.- Ci sono 98 probabilità su 100 che i soggetti in questione muoiano entro i prossimi otto minuti.Secondo i miei calcoli, Gordon Howard sta per fare irruzione nella camera da letto della propria casa e quando vi entrerà scoprirà. -Frena un secondo! Hai detto che Gordon sarebbe stato fuori fino a domenica sera! -Ma il Dottor Beckett ha cambiato la storia ieri pomeriggio, quando ha fatto scappare gli animali dalla stalla per cercare di liberare la signora Howard dalle pressanti attenzioni del marito. Gordon Howard non si fida più di Richard Wright ed ha deciso di ritornare un giorno prima, per fare la festa a lui e salutare a dovere la tenera mogliettina. Albert Calavicci si precipitò di nuovo nella camera immagini. Ma, quando le proprie pupille si adattarono alla penombra della camera da letto, semi inghiottita dall'oscurità del temporale che si era scatenato per tutta***in quella manciata di minuti in cui lui era tornato indietro, seppe con la certezza del proprio istinto che, stavolta, non ci sarebbe purtroppo stato molto da fare.