CHAPTER SEVEN Casa di Richard Wright Sabato, 27 Agosto 1955 Ore 11:44 Samuel Beckett era sveglio ormai da quasi tre ore, ma non aveva avuto ancora il coraggio di fare un solo movimento: la paura folle di commettere un errore, di cambiare la storia(se questo era ancora possibile), di essere avvolto da quella fredda luce un'altra volta e venire trasportato lontano dal corpo di Lizzie non gli aveva permesso di contrarre un solo muscolo. Ancora adesso, dopo tutto quello che c'era stato, faticava a discernere sogno e realtà: era vera quella donna splendida che gli dormiva a fianco, con i capelli profumati sparsi sul cuscino ed il respiro profondo e regolare oppure era un'altra delle proprie visioni, dei desideri che aveva riposto da quattro lunghissimi anni in uno dei più remoti cassetti della propria anima? Allungò lentamente un braccio, con coraggio, tremando ad ogni centimetro, preso dal panico che lei scomparisse, portata via dalla fresca brezza mattutina, ma non successe niente; non appena Sam immerse la propria mano in quella chioma setosa e profumata non ebbe più alcun timore. Lizzie continuava indisturbata il proprio sonno; il suo corpo nudo, mollemente adagiato sul materasso, descriveva una curva sinuosa, perfetta nella propria semplicità ed armonia, come le forme della Venere del Botticelli. La sua pelle ambrata, a contrasto con il candore del lenzuolo, la faceva assomigliare ad un'isola sperduta nella nebbia, con valli e colline che poco più di cinque ore fa lui aveva esplorato, assaggiato, conquistato e riconosciuto come proprie, con un ardore che aveva faticato parecchio prima di affievolirsi, sopraffatto da una dolce stanchezza. La sua pelle sapeva di sale, era liscia come il mare che, immaginava, doveva bagnare le coste italiane all'alba, quando ancora non era violato dal passaggio di nessuna pesante nave da carico, e profumava di un dolce gelsomino che gli riempiva il cuore di tenerezza. Risalì lungo il suo profilo con l'indice della mano destra, a partire dal ginocchio che lei teneva piegato, come un inizio inconscio di un qualche passo di danza, più su oltre la coscia ed i fianchi stretti, lungo il braccio adagiato con grazia sul proprio corpo, per finire nell'incavo del collo, su quel suo piccolo neo che, durante la notte, aveva attratto le sue labbra come il miele attira le api. Lizzie mormorò qualcosa e si strinse a se stessa e Sam la coprì con il lenzuolo, prima di appoggiarle un rapido bacio sulla spalla destra. -Sam.-Sussurrò Lizzie, cercandolo vagamente con una mano, dal lato sbagliato, ancora sospesa tra il sonno e la veglia. Adorava il suo modo di parlare, di chiamarlo per nome, come se non ci fosse nient'altro di così importante sulla faccia della terra. -Scusami.-Lui l'abbracciò e se la portò più vicino, il proprio petto aderì alla sua schiena e rabbrividì di piacere per i movimenti lenti della sua spina dorsale.-Non volevo svegliarti. -Non lo hai fatto.-Lei si voltò, gli occhi ostinatamente chiusi volevano escludere il giorno e le faccende di casa e qualsiasi altra cosa si sarebbe venuta a frapporre tra i loro corpi e le loro anime. - Da ieri sera sto facendo un sogno meraviglioso. Lui sorrise e le mordicchiò il naso- Te l'ho detto che sei fantastica? -Almeno un milione di volte. -Allora cambierò musica, madame.- Le accarezzò la guancia sinistra e la baciò, lì dove Gordon, il pomeriggio precedente, aveva lasciato il suo inconfondibile marchio. A quel contatto, lei s'irrigidì e spalancò gli occhi. -Hei, ti fa ancora così male? -No.E' che.Non voglio che tu mi tocchi così.Dove lui. -Lizzie- Le sollevò il mento col pollice e la guardò fisso negli occhi- tu non ne hai colpa, non devi odiarti per quello che tuo marito ti fa. -Ma mi fa ribrezzo quel segno. -Lizzie, io ti adoro; amo tutto quello che sei, come sei, le cose che fai.Non esiste una parte di te che io non ami, te lo giuro e non permetterò a Gordon o a chicchessia di farti più alcun male. E poi, se ci pensi bene, se io e te adesso siamo qui dobbiamo ringraziare proprio lui. Annalisa lo fissò interrogativamente. -C'entra con la tua missione? Lui deglutì a fatica e distolse lo sguardo per un attimo.C'entrava maledettamente con la missione: non riusciva a non pensare che, proprio con il suo amore la stava esponendo ad un pericolo mortale. Nella storia originale lei e Dick.Ma preferì lasciare perdere, saltare la conclusione di quell'orribile racconto, non ci sarebbe stato nient'altro che il presente. -Tu sei la mia missione!- Le rispose intensamente- Sai, non riesco a non pensare alla fortuna che ho avuto ad arrivare qui. Forse era scritto nel destino che io giungessi da te, forse in un'altra vita noi ci eravamo già amati e questa non è altro che una seconda, magica possibilità. Ma ci pensi? Questo è il mio passato: prima che io costruissi il Quantum Leap noi non ci siamo incontrati, non abbiamo condiviso un attimo lungo un' eternità come quello di stanotte, non eravamo consapevoli neppure della nostra reciproca esistenza.Anima mia, avremmo potuto non incontrarci nel tempo neppure stavolta e continuare a viaggiare, come schegge impazzite, alla ricerca della nostra metà, di noi stessi, senza mai venirne a capo e magari morire da soli, domandandoci il motivo della nostra misera esistenza.Grazie.-Sussurrò poi, rivolto al soffitto, mentre Lizzie gli si accoccolava fra le braccia e lo fissava con sguardo sognante. -Ma io ti aspettavo, Dottor Beckett; tutte le volte che Gordon mi picchiava, mentre facevo i miei lavori, quando faticavo sotto il sole e quando mi addormentavo esausta la sera.Non facevo altro che sognare; sentivo che sarebbe successo qualcosa che avrebbe cambiato la mia vita.Tu sei la mia strada verso il futuro.Non so come ho vissuto prima che arrivassi tu; poi mi sei quasi apparso davanti, come piovuto dal cielo.E non so cosa farò quando tu.-Ma non riuscì a completare la frase. -Non andrò via, te lo prometto! Resterò con te. Lei gli baciò il petto e scosse la testa: -Non promettere ciò che sai di non poter mantenere. Lui tacque, incapace di rispondere, mentre il pensiero folle che aveva riempito il suo cervello per tutto il tempo durante il quale Lizzie aveva riposato gli si presentò ancora una volta, strisciando subdolamente tra le pieghe della mente, danzando di fronte alla propria razionalità, come un'odalisca pericolosamente seducente. -Lizzie, ascolta. -No, ascoltami tu; non parliamo di questo, per favore, non oggi; promettimi una cosa: che oggi staremo da soli, io e te, come una normalissima coppia di.Amanti; e lasceremo fuori dai nostri discorsi Dio, il Tempo, il Destino, il Futuro, le Missioni e qualsiasi altro pensiero che ci possa rendere infelici.Vuoi? -Sarò il tuo schiavo, Signora Howard! Non devi fare altro che comandare. Lizzie sorrise compiaciuta, quindi cominciò a massaggiargli il petto, accarezzandogli il corpo con dei baci leggeri che lo facevano fremere di desiderio. -Lo sai cosa vorrei fare?. -Non sono un telepate.Ma so che cosa vorrei fare io.- La strinse a sé e la fece rotolare su di un fianco, finchè non si trovò a giacere quasi completamente su di lei. -No, non ora.- Lei girò su se stessa e ristabilì quel primario e fragile equilibrio tra i loro corpi smaniosi di contatto, poi gli sussurrò all'orecchio:- Vorrei fare un pic nic. -Un.Pic Nic?- Sam la fissò, accarezzandole dolcemente le scapole, cercando di tenerla ancora incollata a sé, di stringere quel cerchio di energia e di passione che sembrava inscriverli ogni qualvolta una minuscola parte di loro entrava in contatto. Lizzie si mise a sedere in ginocchio, le braccia protettivamente conserte dinnanzi al seno, come per assumere una posizione di comando. -Non mi avevi promesso che saresti stato il mio schiavo, Dottore? Lui sorrise di quel particolare, dolce sorriso, che riusciva a farle dimenticare ogni cosa stesse accadendo in un istante, le si fece accanto e, sollevando il lenzuolo, glielo sistemò addosso, come una specie di tonaca romana. -Hai ragione, ho promesso.Ma se non ti copri con qualcosa.Non credo che sarò in grado di lasciarti andare. Annalisa si mordicchiò un'unghia e sorrise di nascosto, ebbra di felicità. -Facciamo così: mentre tu sistemi le mucche giù, alla stalla, io vado a casa e mi faccio una doccia; poi tu ti prepari e io faccio qualche panino, prendiamo Gary. -Gary? -Gary Cooper.Il mio vecchio cavallo.Gordon voleva mandarlo al macello, ma io non gliel'ho permesso. -Certo, con un nome così importante. -Spiritoso! E ce ne andiamo.Che te ne pare? -Prima il dovere.-Ribattè lui, fingendosi sconsolato. -Ma poi potresti essere molto, molto fortunato.-E gli scoccò un'occhiata lunga e maliziosa che lo lasciò imbambolato e senza fiato, prima di saltare giù dal letto con l'agilità di una gazzella ed avviarsi fuori, con il solo lenzuolo addosso. Questa è la mia casa. Era l'unico pensiero che Sam riusciva a tenere a mente, a focalizzare quando non si sentiva completamente avvinto dalla voglia di stringere Annalisa tra le braccia, di sentirla sussurrare il suo nome a mezza voce, di possedere interamente il suo corpo e la sua anima, fino a sentirsi completamente sopraffatto e traboccante d'amore. Anche adesso, mentre, a briglia sciolta, lasciava che Gary li conducesse attraverso le stradine di campagna che serpeggiavano tra gli immensi campi di granturco e sentiva i capelli di Lizzie accarezzargli dolcemente il viso, il suo fragile corpo muoversi ritmicamente, totalmente abbandonato sul proprio, pregustando una giornata di pura gioia, non poteva non comparare il passato oscuro e parzialmente dimenticato a questo presente brillante ed accogliente e riuscire quasi a scaldarsi con il sole della propria felicità. Gli anni di salti, cupi e remoti, dispersi come i frammenti di un vecchio galeone per metà affondato in un oceano di solitudine, affioravano con fatica tra la nebbia della sua memoria guasta, sopraffatti dal calore di questi pochi giorni passati con lei, a respirare veramente la vita, condividendo ogni singolo momento e rendendolo, per questo, speciale. Non voleva andare via, perdere tutto questo, rischiare che anche il suo viso magnifico affondasse nel nulla della propria non vita, giocarsi forse l'ultima possibilità di avere.Che cosa? Una donna da amare e da fare felice, dei figli da crescere, una terra da lavorare e un letto per riposarsi dopo le fatiche di una dura giornata.Non chiedeva di più, non era poi molto.Milioni di uomini su questo pianeta, compreso Gordon, si lasciavano vivere ogni giorno, senza apprezzare la propria fortuna.Lui aveva fatto del bene al mondo, aveva aiutato la gente, lasciato il proprio tempo ed ipotecato il futuro per amore dell'umanità.Perché adesso, finalmente, dopo un'infinitudine di anni sempre uguali, non poteva essere concesso anche a lui che un po' di tutto quell'amore che aveva sparso nel mondo, vuotandone la propria anima, ai quattro venti, gli ritornasse dolcemente indietro? -Sam.- Lei gl'indovinò i pensieri, glieli lesse in faccia con una semplice occhiata, perciò, quando lui l'aiutò a scendere da cavallo, lo strinse forte a sé e mormorò: -Avevi promesso.Niente pensieri cupi Okay? Non hai fame? Lui annuì e la lasciò a stendere una coperta sull'erba verde, allontanandosi per attaccare Gary ad un albero abbastanza robusto, perché gli piaceva spiare i suoi movimenti da lontano, ammirarla nella sua naturale grazia e sapere con certezza che quella donna gli apparteneva. -Non vuoi più niente? Lui annuì, strappando con attenzione un trifoglio che cresceva accanto ai propri piedi. Avevano appena finito di mangiare ed erano circa le due: il cielo, di un blu splendente, soltanto velato da qualche nuvola sottile come una garza quasi trasparente, contrastava mirabilmente con i colori di Lizzie: il nero dei capelli e degli occhi, il rosa dell'abito di cotone stampato a fiorellini, il candore del suo petto non abbronzato che spuntava dalla scollatura quadrata di quel vestito che Gordon disapprovava perché troppo lascivo. Un'ondata di desiderio, possente ed inarrestabile come un camion in discesa lanciato a folle velocità lo fece irrigidire e gli colorò le guance di rosso. -Ne sei sicuro? Non hai quasi toccato cibo. Sam non rispose e continuò a fissare il suolo; ma strappò l'ennesimo trifoglio più violentemente, facendo uno sforzo su se stesso. -Sam.- Lizzie gli accarezzò il capo avvicinandosi a lui. -Sto per essere fortunato?- Le chiese sottovoce, senza osare guardarla, vergognandosi ed eccitandosi allo stesso tempo per l'intensità di quel suo pensiero. -Se riesci a prendermi.- E scappò via divertita, con un lungo balzo leggero. -Lizzie, aspetta, non è divertente! -Ah, no?! Coraggio, Dottor Beckett, cos'è, nel futuro non vi insegnano a correre? O forse troppe lauree ti hanno un po' rammollito. -Vieni qui! Lascia solo che ti metta le mani addosso. Lizzie lo fece avvicinare quel tanto che bastava per mostrargli il volto fremente, i capelli sciolti al sole, il corpo pronto alla fuga e la gola piena di riso, come se volesse fargli vedere bene quale fosse la posta in gioco, prima di immergersi, con un gridolino, in mezzo all'enorme campo di mais che costeggiava la strada. Lui la seguì in silenzio: ad Elk Ridge era abituato a passare attraverso campi come quello, lo aveva fatto per anni, come scorciatoia per arrivare prima a scuola; poi, quando era cresciuto un po', Tom lo aveva portato con sé a caccia e lui si era sentito come un pioniere alle prese con orde di terribili indiani. Sapeva come muoversi, aveva appreso come scivolare silenziosamente tra le piante senza fare il minimo rumore, evitando di calpestare le stoppie, nell'attesa di sorprendere la preda. Lizzie aveva smesso di correre a perdifiato e si trovava a circa 10 passi avanti a lui, si era fermata, come in ascolto, la fronte concentrata solcata da una piccola ruga; respirava a fatica, aveva il fiato grosso, faceva rumore, forse per non sentirsi sola, poiché, all'ingresso di quei due rumorosi sconosciuti, tutti gli uccelli avevano taciuto spaventati e si erano nascosti fra i fusti delle alte piante. A Sam piacevano quel silenzio e quella pace, lo avevano sempre aiutato a riflettere e lo avevano fatto sentire protetto ed al sicuro come quando, assieme a Tom, facevano lunghe passeggiate silenziose: non c'era mai stato bisogno di parole fra loro: l'affetto che li legava in quei momenti parlava tramite il silenzio. -Sam.Sam, dove sei? Lizzie lo stava chiamando, la sua voce rimbombava in quella vastità. -Sam, adesso vieni fuori. Lui le scivolò alle spalle senza emettere il minimo rumore. -Sam.-Si strinse nelle spalle e si voltò, incerta su quale strada prendere. -Sam, non è divertente.Andiamo, dove sei? Sam! Sam!- gridò più forte, una nota di sincera preoccupazione nella voce-Ah!!! Lui l'aveva catturata, afferrata per le spalle e adesso la teneva stretta e forte, sollevata di qualche centimetro dal terreno, cercando di immobilizzarla. -Non fare mai più una cosa simile!- Lei fece una mezza giravolta e gli diede uno schiaffo sulla guancia- sei impazzito?! Mi hai fatto prendere paura.Temevo che fossi saltato, che non ti avrei più rivisto.Perché non mi rispondevi? -Scusami, scusami, scusami.- Le chiuse la bocca con un bacio, la prese in braccio e la trasportò velocemente lì dove avevano pranzato; la coperta a strisce ondeggiava leggermente cullata dal vento. L'adagiò al suolo, con dolce violenza e cominciò a spogliarla in fretta, smanioso di accarezzare ancora una volta quella sua pelle liscia; le loro bocche, accese dal desiderio, si cercarono e si serrarono esperte l'una sull'altra. Fecero l'amore sul prato con tutta la passione che i loro corpi non erano più in grado di contenere, come se quel pomeriggio dovesse essere l'ultimo e non ci fosse più alcuna speranza; Lizzie sentiva il fresco dell'erba e l'odore forte del terreno mentre il proprio corpo ardeva, sotto le mani di Sam e quei suoi occhi verdi spalancati, come due smeraldi brillanti nell'amaranto del cielo, le dicevano che mai più, nessun'altro al mondo, l'avrebbe amata così. Prima di addormentarsi, esausta, tra le sue braccia, Lizzie fissò il cielo e, per la prima volta da quando aveva imparato a parlare, gli occhi sfavillanti di sfida, non espresse affatto una preghiera: "Non riuscirai a portarmelo via". -------------------------------------------------------------------------------- La porta della camera immagini si spalancò e si richiuse con quel classico rumore di una serratura che scatta velocemente, ma Samuel Beckett non aprì gli occhi: sperava ardentemente che Al se ne andasse, che ritornasse più tardi; non si sentiva pronto per affrontare con lui quell'argomento che ancora faticava ad accettare completamente egli stesso. -Sam. Non appena il Dottor Beckett socchiuse gli occhi assonnati e li fissò in quelli dell'amico, l'ammiraglio Calavicci comprese. E, per la prima volta da quando questa loro avventura era iniziata, ebbe sinceramente paura. -Ciao Al, ti aspettavo.. L'Ammiraglio tossicchiò, come se il fumo del potente sigaro gli fosse andato di traverso, continuando a tenere lo sguardo appuntito come quello di un cane da tartufo su Sam, mentre la sua faccia si contraeva in una smorfia d'incredulità. -Sam.Quello che vedo.Vuol dire che tu.Che voi.Ancora.Insomma.Stavate facendo di nuovo.-Sam sorrise e si gustò la faccia dell'amico, che si era sempre vantato di essere un grande amatore e lo aveva preso in giro un milione di volte reputando i suoi pensieri troppo puri, quasi fanciulleschi, come bigotti nei confronti delle donne e del sesso, diventare lentamente paonazza, mentre le guance gli si gonfiavano e si preparavano ad emettere un profondo sospiro di stupore. -Mio dio, Sam, sei diventato matto?! Lui scosse la testa, negando con forza: Lizzie dormiva ancora; Sam l'aveva avvolta nella coperta da pic nic, come Cleopatra quando era stata presentata a Marco Antonio, e se la teneva stretta al petto, quasi la volesse cullare finchè non fosse caduta la sera mentre lui, a torso nudo, le spalle appoggiate al tronco di un grosso albero, si gustava il tepore del suo corpo e la brezza che, passando, gli scompigliava i capelli. -Perché sei qui, Al?- Gli domandò, cercando di far distogliere i suoi occhi da vecchio marpione dal corpo di lei; l'immagine olografica tremolava, come se venisse costantemente esposta ad una potente fonte di calore. -Ziggy sta impazzendo; praticamente contattarti è quasi impossibile.Madame Bovary canalizza tutte le tue onde cerebrali, le mescola alle sue.Non posso darti torto.Con una così, anch'io mi farei canalizzare e mescolare.- Ghignò, ma se ne pentì: non era l'atteggiamento migliore, aveva detto Beeks, ci voleva calma, sangue freddo, diplomazia. Tre qualità che Albert Calavicci non aveva mai posseduto. -Se sei venuto solo per dirmi questo. -No- si affrettò a rispondere lui- E' Ziggy che mi ha mandato qui.-Il collegamento manuale squillò allarmato ed indispettito, come a sottolineare la propria completa estraneità ai fatti in questione- Lei e Gooshie.Stanno facendo delle previsioni assurde, loro sostengono che.Insomma, dicono.Ecco che tu. -Perché non vieni al sodo?- Che assurda situazione! Sam conosceva Al da una vita; praticamente poteva seguire, attraverso il complicato gioco delle sue rughe, i pensieri dolorosi che dovevano avergli procurato una brutta nottataccia e qualche mal di testa dipanarglisi e dipingerglisi in viso, senza che Al riuscisse a prendere il coraggio per parlare, per rispondere alla domanda che lui gli aveva posto:"Perché sei qui?". -Perché temo di sapere già la risposta. Silenzio. Al e Sam rimasero muti, per la prima volta si squadrarono come due avversari; ciascuno ponderò mosse e contromosse. Come se il destino di entrambi non fosse, in quel momento, che una ridicola partita a scacchi. -Voglio restare qui, Al; ormai ho deciso e non riuscirai a farmi cambiare idea. Nel silenzio dell'afoso pomeriggio estivo, un corvo gracchiò lontano, staccandosi dal sommo di una pianta di granturco. Il cuore di Albert Calavicci, per un lungo secondo, si rifiutò di battere ancora. -Sam, che stai dicendo.Lo sai che non puoi farlo. -Invece credo di sì, ho perfino escogitato un piano. -Oh, un piano! Fantastico! E che si fa? Battiamo tre volte i tacchi degli stivali di Gordon e ci ritroviamo a casa? Aveva funzionato per Dorothy, ma lei aveva un piedino di fata e aveva rubato le scarpe alla Strega dell'Est, non credo che. -Smettila! -Di fare che? Di metterti davanti all'assurdità dei tuoi pensieri? Sam, sono quattro anni che stiamo cercando di riportarti a casa; c'è un elaboratore ibrido parallelo che non ci fa dormire la notte per riuscire lì dove, anni fa, abbiamo fallito e adesso tu te ne esci con questa storiella e pensi che un po' di buon sesso, qualche occhiata languida e la tua mente brillante possano davvero cambiare le cose? Salterai! Te lo dico io, che tu lo voglia o no, anche se non dovessi riuscire, non puoi cambiare quello che tu stesso hai inventato! -E invece io credo proprio che funzionerà.-Un sorrisetto di sfida gli illuminò lo sguardo, mentre l'idea quasi informe cominciava a prendere vigore e minuscoli collegamenti si formavano nella sua mente, gettando un ponte sottile tra l'assurdo ed il fattibile, l'impossibile ed il probabile. -E come mai ne sei tanto sicuro, Sherlok? -Perché se non avessi speranze, tu non saresti così preoccupato, ecco tutto. Touchè. -E posso almeno sapere qual è il tuo piano?- Al lo chiese sottovoce, guardando il pavimento, mentre una stupida, dolorosa fitta all'altezza del cuore gli rendeva immediatamente chiaro quanto volesse bene a Sam, che cosa egli rappresentasse per lui, come fosse sempre stato un faro per la propria vita vissuta costantemente sul filo del rasoio. Sam era stato l'occasione, la normalità ed insieme la follia, il vento che aveva demolito il suo fragile io dalle fondamenta e che gli aveva permesso di ricostruirsene uno migliore, più saldo e responsabile; non poteva colpevolizzarlo adesso per quel suo desiderio d'amore, forse avrebbe dovuto mettere a tacere il proprio egoismo, dichiarare il fallimento del progetto, chiudere baracca e burattini ed andarsene via, lontano. Ma dove? A caccia di un ennesimo sogno? Ma era troppo vecchio per ricominciare daccapo, una volta aveva rischiato la sorte ma cosa sarebbe successo al secondo tentativo? -Stasera la porterò via, lontano da qui, da Gordon. -Lei lo sa? -Ancora no.-E le appoggiò un rapido bacio sulla fronte tiepida. -Credi che qualche Kilometro in più sia la soluzione? -No, ma quello che proviamo forse sì.Rifletti: io e Lizzie abbiamo praticamente le stesse onde cerebrali, lo stesso pattern neurale; quando siamo insieme Ziggy il più delle volte non riesce neppure a localizzarmi.Credo che questo conti parecchio nella meccanica del Quantum Leap.E poi io voglio restare e forse questo elemento farà la differenza.Se pensi all'equazione. -Al diavolo le equazioni!- Al sbottò disperato- Quando sei tornato a casa tua, nell'Indiana.Anche allora volevi restare, ma non mi sembra che ci sia stata una gran differenza.Tu sei saltato, tuo padre.-ma si morse le labbra; non poteva dirgli che suo padre era comunque morto di cancro, che sua sorella aveva rovinato la sua vita com'era già successo, che nel gran cerchio della vita soltanto alcune cose erano cambiate grazie al suo salto ma che altre, come pesanti pietre tombali, erano rimaste fisse al proprio posto. Sam sbuffò e deglutì più volte, dopo che Al lo ebbe messo di fronte al proprio fallimento; le idee gli si oscurarono, i collegamenti gli parvero ora meno certi. -Ma devo tentare, Al! Non capisci? Mi è stata data una seconda opportunità, una specie di seconda vita; perché questo salto non può essere finalmente tutto per me? Perché ci deve essere sempre qualcosa di più grande, uno scopo finale, qualcuno che non conosco nemmeno per cui rischiare?- Le parole gli uscivano con difficoltà, strozzate per la grossa emozione che lo stava animando con passione;- Stavolta è davvero come l'avevo progettato, Al! E so perfettamente che cosa devo cambiare. -E chi ti dice che quello che lasci sia peggiore di questo! Non te lo ricordi neanche!- Al esplose in un grido di rabbia e frustrazione. -Forse no, ma non voglio passare il resto della mia vita a chiedermi cosa sarebbe potuto essere. Albert Calavicci sospirò e scosse la testa. "Tutta la vita"? Sam si sarebbe dimenticato praticamente tutto cinque secondi dopo aver cominciato un nuovo salto.Ma lui, Albert Calavicci, avrebbe dovuto vivere col peso del rimorso per il resto della propria esistenza.E gli occhi di Lizzie, quegli occhi pieni di magia, avrebbero continuato a tormentarlo nel sonno, a domandargli perché lui non avesse concesso loro quel po' di felicità che entrambi desideravano. -Sam.-ma non poteva permettere alla propria emotività di sopraffarlo.C'era un senatore a cui rendere conto, la vita di un uomo intrappolato nel futuro da rimettere al posto, un progetto che rischiava di chiudere ed il proprio avvenire appeso ad una fragile speranza.- La tua missione è soltanto quella di salvarle la vita! Tutto quello che è venuto è stato un dono e come tale devi accettarlo, ma non puoi cambiare le cose a tuo piacimento, non puoi semplicemente assumere un'altra identità e. -Non è quello che faccio continuamente?- La domanda gli uscì tra i denti, con una sorta di rumore sordo. -Sì, ma che c'entra? E' solo per poco e poi è la regola! -Beh, mi sono stufato di giocare sempre secondo le regole! Non stava andando bene, non riusciva a venirne a capo.Non avrebbe funzionato mettendola sul piano razionale; ma forse su quello dell'altruismo. -E non pensi a Dick? Sam non rispose e si limitò ad alzare le spalle. Bingo! -Allora? Non hai calcolato questa variabile, Dottor Beckett? Lui accarezzò i capelli di Annalisa, come per trarne la forza, quindi rispose, gli occhi fissi al suolo: -Io sono già un dottore, gli farò finire in un lampo l'università. -Sì, ma lui è bloccato nel futuro! -E' un giovanotto brillante, saprà adattarsi, ne sono sicuro! -Oh, grazie tante, ma non credi che dovresti almeno interpellarlo prima di decidere della vita di entrambi? Forse a lui non piace molto il 1999, visto che da due giorni non fa altro che piagnucolare e chiamare sua madre! Non mollare adesso, batti il ferro finchè è caldo! -E ammettiamo pure che questa tua follia riesca.-Al gonfiò il petto in un profondo respiro: i rapporti di forza stavano evidentemente cambiando a proprio favore. Cercò di non guardarlo negli occhi, per non leggervi l'incrinarsi di quel suo sogno cui si stava disperatamente attaccando e si concentrò per sferrare l'attacco finale; mise a tacere quella piccola parte di lui, quella che si lamentava dolorosamente, che gli ricordava quanto potesse essere distruttiva una battaglia di nervi, quante ne avesse dovute subire quand'era prigioniero dei Viet- Kong, come li avesse odiati per quello che gli avevano fatto, per come avessero lasciato prostrata e distrutta la propria anima dopo quelle infinite battaglie. - Ammettiamo per un secondo che tu resti qui con lei; e poi? Che farete? -Vivremo!- Sam rispose d'impulso; la paura di stare per commettere un errore imperdonabile aveva reso la sua voce più sottile. -E di cosa? D'aria?! E' il 1955, Sam, volete essere la prima coppia mista della storia? Credi che la madre di Dick avvallerà questa vostra unione? O che il tenero maritino vi dirà " Auguri, figli maschi, mandatemi i confetti in una scatola e se è maschio davvero chiamatelo Gordy"?! Sam, ti renderanno, vi renderanno la vita un inferno! Gordon vi inseguirà, vi troverà e ti ammazzerà come un cane! E sarà finita per te, per Lizzie, per Dick e per tutta la sua famiglia. -Questo non è detto! -E tu come lo sai? Stai cambiando la storia in continuazione.Leggi il futuro? Sam, ritorna in te e cerca di ragionare un momento! Vuoi davvero distruggere la tua vita? E.la sua?- Al accennò a Lizzie che mormorò qualcosa e si sistemò meglio tra le braccia di Sam. Di nuovo silenzio. -Ascoltami, Sam.-Lui abbassò la voce, per evitare che Lizzie si svegliasse; sapeva che lei avrebbe preferito morire piuttosto che perderlo e lasciare che Gordon la riafferrasse con quelle sue tozze mani piene di odio e violenza ed Al non sarebbe stato in grado di sostenere una battaglia, non contro entrambi; il cuore gli avrebbe fatto troppo male. -E' come in quel film."Fuga d'inverno".Il galeotto scappa con la moglie del direttore del penitenziario, però lui finisce ammazzato e lei in un carcere a vita; vuoi davvero che vada così? Sam negò con calma; una lacrima cominciò a scendergli lungo la guancia e si perse tra i folti capelli di Lizzie. -Ragazzo, non puoi fuggire da quello che sei; tu sei un viaggiatore nel tempo ed è così che funzionano le cose per te; puoi solo sfiorare la vita degli altri, ma non puoi rubare quello che non ti appartiene.E non sto dicendo che sia giusto, però so che non potrebbe essere altrimenti. La tua missione è più grande Sam, il tuo destino. -Il mio destino?!- Lui sussurrò tra le lacrime, accarezzando con una mano il profilo del volto di Lizzie.- Guardala, Al, questo è il mio destino! Non so chi sono stato, né praticamente come ho vissuto fino ad ora, ma so perfettamente cosa vorrei essere: il suo futuro, suo marito, l'uomo con cui condividerà il resto della vita. -Ma tu non puoi pensare solo ai tuoi desideri! Il progetto ha bisogno di te. -Io non ho mai pensato ai miei desideri!- Sam strinse le mani a pugno e le sbattè violentemente al suolo. Pessima, stupida idea; Ammiraglio Calavicci, stavolta hai davvero fallito. -In questi quattro.Inutili anni non ho mai, neanche per un secondo, pensato a che cosa volevo, a che cosa sognavo.Non è giusto, Al! Non posso fare quello che mi chiedi.-Sam strinse i denti, socchiuse gli occhi ed emise un lungo respiro per permettere alla propria mente di vagliare, ancora una volta, tutte le implicazioni di quello che stava per dire. Un secondo dopo, la propria ricerca ebbe fine: sapeva esattamente quale parte scegliere, improvvisamente tutto gli era diventato chiaro e non ebbe più alcuna paura. -Stanotte io e Lizzie ce ne andremo, Al. Nessuno, nemmeno Dio in persona ci potrà fermare. Lo sguardo sicuro di Sam, il verde intenso dei suoi occhi rimase impresso nel cervello dell'Ammiraglio Calavicci come un marchio rovente sulle proprie palpebre. Fu l'ultima cosa che vide. Poi il contatto fu perso, una volta per tutte.