Chapter Six Casa di Richard Wright Venerdì, 26 Agosto 1955 Ore21:23 Samuel Beckett si svegliò con una smorfia di dolore dipinta sul viso: ci mise un po' per rendersi totalmente conto di chi fosse e cosa stesse succedendo in quel preciso momento. Il sole era tramontato da un pezzo ad Ovest oltre il tetto della casa degli Howard, andando lentamente a morire in silenzio e disegnando ombre curiose sui suppellettili del comodino. Si passò lentamente la mano sinistra sul viso su cui cominciava a crescere un principio di ispida barba, quindi tentò, con cautela, di sollevare la testa per guardare davanti a sé. Soltanto allora si ricordò di quello che era capitato durante il pomeriggio, di come quel bastardo di Gordon aveva selvaggiamente picchiato Lizzie, del sangue che le aveva macchiato il corpetto dell'abito bianco, di come quel sangue adesso si trovasse anche sulla propria camicia. Si rese conto di essersi appisolato così, seduto sul pavimento, la guancia destra appoggiata al materasso del proprio letto, su cui Lizzie giaceva profondamente addormentata. Cercò di alzarsi in piedi senza fare troppo rumore, mordendosi la lingua per non urlare quando, tentando inutilmente di stiracchiarsi, si rese conto di avere una buona quantità di muscoli indolenziti e di nervi accavallati, a partire dal collo per arrivare giù, fino a quelli della coscia. -Oh.Mamma.Ahi.- Si sollevò molto lentamente da terra, la mano destra tesa a massaggiare la propria schiena nuda mentre gli occhi scrutavano nella penombra della stanza, in cerca di una fonte di luce qualsiasi con cui poter analizzare il viso di lei. Alla fine si decise ad accendere la lampadina che oscillava pigramente dal centro del soffitto per dare un'occhiata: Lizzie sembrava stare molto meglio adesso. Tanto per cominciare, non era più rannicchiata in posizione fetale, aveva smesso di tremare e stava riacquistando colorito; se non fosse stato per le guance ancora infuocate e per la chiazza già più scura e tendente al violaceo visibile al di sotto dell'occhio sinistro e che si allargava a macchia d'olio fino sul setto nasale, la si sarebbe tranquillamente potuta definire "La Bella Addormentata". Le labbra rosse leggermente dischiuse lasciavano intravedere i piccoli denti color madreperla, la massa dei capelli bruni sparsa in disordine sul cuscino di lui ricordava un groviglio di alghe marine abbandonate delicatamente sulla spiaggia dalle onde tranquille dell'oceano, gli occhi erano chiusi ed immobili, il collo leggermente reclinato a destra, il respiro calmo e regolare e la mano sinistra distesa, oltre il lenzuolo, come se, durante il sonno, si fosse inconsciamente accorta della sua presenza e avesse tentato di avvicinarglisi per poterlo toccare. Sam prese quella mano e la tenne, per un secondo, stretta tra le proprie: era fredda ma non sudata, immobile come il resto del suo corpo. -Smettila di proiettare sugli altri i tuoi desideri- si disse a bassa voce e si stupì di se stesso: quella era una delle frasi che si sarebbero adattate senza dubbio all'ammiraglio Calavicci ma non al dottor Beckett, per cui il lavoro veniva sempre prima di tutto. Ma Lizzie era un'eccezione, una creatura fantastica che poteva vederlo, sentirlo, toccarlo, parlare con lui liberamente e farlo sentire, dopo tanti anni, finalmente l'uomo che era. Rimise quella mano sotto le coperte, scostando appena il lenzuolo ed intravide la sua spalla nuda e ben tornita e la spallina della sottoveste di raso che era pericolosamente scivolata all'altezza del gomito. Con l'indice della mano destra la fece risalire, lentamente, sfiorando la sua pelle con il tocco di una farfalla, pregando Dio che non si svegliasse, non ancora. Fece un respiro profondo e si allontanò da quel letto. Sarebbe stata una lunga, lunghissima notte. Si voltò di spalle e si avviò a rapidi passi verso il piccolo cucinino di Richard, cercando di frapporre nel minor tempo possibile almeno tre o quattro metri tra lei ed il suo pazzo desiderio: lo sentiva urlare dentro, come una tigre feroce rimasta chiusa in una gabbia angusta per troppo tempo, come il vento di tramontana soffia violento prima della tempesta; sapeva che la sua mente razionale non sarebbe riuscita a fargli mantenere il controllo ancora a lungo. Si costrinse a concentrarsi e si mise alla ricerca di un qualcosa per prepararsi un caffè, qualsiasi cosa che gli permettesse di non pensare, di distrarre quella tigre e di farla riaddormentare ancora una volta. Ma andare in cucina non fu una buona idea. Subito gli venne in mente la sera prima, in quell'altra cucina a casa degli Howard, quando le loro dita si erano sfiorate e si erano subito intrecciate, seguendo una volontà che non era stata precisamente né dell'uno né dell'altra. Ripensò ai gesti che aveva fatto, a come aveva stretto le sue dita, come fossero la sua unica ancora di salvezza di fronte al naufragio della propria vita persa e sparpagliata un po' in ciascuna delle persone in cui era saltato. Le loro nocche erano diventate bianche per la pressione, per lo sforzo esercitati da entrambi per reprimere i propri sentimenti. Ma la tigre era stata più rapida e l'aveva colto di sorpresa. L'aveva fatto avvicinare con un balzo a lei, i loro corpi si sfioravano nella calura di quell'interminabile pomeriggio: lui l'aveva spinta docilmente contro la parete della cucina e poi l'aveva baciata di colpo, tuffandosi nel mare delle sue labbra, mentre Gordon se ne stava sbragato sul divano del salotto, a circa tre metri da loro, a guardare quello stupido programma televisivo. Allora il desiderio l'aveva divorato in un istante, come un fuoco divora un legno imbevuto di benzina; se non ci fossero stati i rimbotti di Gordon che, dando loro le spalle, grugniva per ottenere un'altra fetta di crostata alle fragole, a quest'ora non ci sarebbero stati rimpianti, né recriminazioni, né incertezze: l'avrebbe presa lì, dove si trovava, l'avrebbe stretta così tanto da farla quasi gridare, avrebbe fatto l'amore con lei senza pensare alle conseguenze. E Lizzie sarebbe stata finalmente sua. Al solo pensiero sentì una contrazione dolorosa alla bocca dello stomaco. Ormai era tardi. Versò un orribile caffè nella prima tazza che fu in grado di trovare e si sedette a fissare le tenebre che stavano avanzando. Dopo qualche minuto percepì un fruscio alle proprie spalle. -Se sei venuto qui per dirmi che non è stata una buona idea, sappi che non è proprio il momento adatto, Al! Ma nessuna voce si unì alla sua per spezzare il silenzio. Sam si voltò sulla sedia trangugiando la brodaglia che si era preparato e quasi cadde tanto velocemente tentò di scattare in piedi a quella vista: Lizzie era lì, di fronte a lui, in sottoveste e con un asciugamano bagnato all'altezza dello schiaffo ricevuto da Gordon. Per un attimo che a Sam parve una vita, nessuno parlò. -Senti.-comimnciò timidamente lei: un sorriso nervoso le increspava le labbra- volevo ringraziarti per quello che hai fatto. -Ma figurati!- La interruppe troppo precipitosamente lui. -No, davvero.Se tu non avessi liberato gli animali e se Al non fosse venuto ad aiutarmi.A quest'ora.-Ma ebbe paura anche solo di pensare cosa sarebbe potuto accadere e terminò la frase, inclinando la testa dal lato sinistro. E adesso era giunto il suo turno di parlare. Buffo: non riusciva a pensare a niente di sensato da dirle. Lei si agitava un po', saltellando ora su di un piede ed ora sull'altro, mentre, sotto lo sguardo di Sam, un certo rossore cominciava a salirle sulle guance. Lui guardò in terra e si accorse che Lizzie era scalza: le gambe snelle erano abbronzate fin sotto il ginocchio, al di sopra del quale diventavano vistosamente più pallide fino a sparire coperte dalla sottoveste; lui non riuscì a reprimere il proprio pensiero che corse velocemente all'altezza dell'inguine, inseguendo le forme di lei, a domandarsi di che colore potesse essere quella sua pelle che profumava leggermente di gelsomino. Il rossore sul suo viso, cominciò a diffondersi lungo il collo. -Hai dormito bene nel mio letto.Cioè, in quello di Richard? Stupida, stupida domanda!!! Andiamo, cerca di riflettere, così la metterai in imbarazzo! Lei annuì con la testa, strinse gli occhi e fece un bel respiro, come se si sentisse mancare l'aria. -Sam.- Si interruppe ed attese che lui rivolgesse al suo viso tutta la propria attenzione- come ci sono finita nel tuo.Nel letto di Richard? Sam sorrise e fece un passo verso di lei che indietreggiò istintivamente, verso l'angolo più lontano della cucina. -Beh, ti sei gettata fra le mie braccia.No, cioè non voglio dire.Insomma tu stavi male, tremavi, avevo paura che ti venissero delle convulsioni, poi sei svenuta, così ti ho.Tolto i vestiti, le cose strette, è una prassi medica, io.Oh mamma, fermami, ti prego! Lei rilasciò il fiato che aveva trattenuto immaginandosi quelle sue mani grandi ma aristocratiche che la privavano, esperte, dei propri vestiti e gli sorrise complice. -Vuoi del caffè?- Le chiese Sam, tanto per cambiare discorso. Lei scosse la testa in modo deciso ed una piccola smorfia le si dipinse sul volto. -Non è che c'è del ghiaccio da qualche parte? Comincia a pulsare in un modo insopportabile. -Ci deve essere qualcosa in ghiacciaia.Ecco, dammi l'asciugamano. Lui le voltò le spalle per un attimo, ruppe il blocco di ghiaccio in pezzi più piccoli, li infilò nell'asciugamano cercando di farlo diventare una moderna borsa termica e poi si voltò per porgerglielo, sorprendendo i suoi occhi scuri intenti a fissare le sue spalle e i movimenti rapidi dei suoi bicipiti. -Vediamo un po'.-Si avvicinò di più e le sollevò il viso col pollice- non è niente di grave- la fissò con occhio clinico, cercando di immaginarla come una qualsiasi delle sue pazienti.Non gli diceva sempre Al che lui era anche un gran bravo dottore?- fra un paio di giorni basterà un tocco di cipria e nessuno si accorgerà di niente. -Già.-rispose lei con voce incerta, strizzando l'occhio sinistro e abbassando la testa, cercando decisamente una via di fuga. -Tieni.-disse Sam, appoggiandole il ghiaccio all'altezza del livido- reggilo tu, così puoi muoverlo dove senti il dolore; fra cinque minuti avrai metà faccia completamente anestetizzata e sarai costretta a ridere solo con mezza bocca!- Le mimò la scena, storgendo le labbra in modo grottesco. Lei scoppiò in una genuina risata argentina, abbassò un poco la testa nell'impeto che la scuoteva tutta poi, quando cercò di ristabilire una specie di normalità, portò di corsa la mano sinistra all'altezza del ghiaccio. E le loro estremità si toccarono di nuovo. Il ghiaccio cadde a terra, fracassandosi in mille minutissimi pezzi che si sparsero allegramente per tutto il pavimento della cucina: quel contatto era stato troppo subitaneo ed inaspettato per entrambi, una specie di scossa elettrica che li aveva fatti improvvisamente sentire sull'orlo di un precipizio. Il timer del loro desiderio si avvicinò paurosamente all'ora X. -Oh Dio, che sbadata! Mi dispiace io.Non so cosa mi prenda oggi. -Ma no, che dici, è stata colpa mia! Stai tranquilla, è soltanto acqua. -Sì, ma allagherà la cucina del povero Dick! Aspetta, ti aiuto! Si abbassarono insieme, piegando le ginocchia molto velocemente. Troppo. Lei, probabilmente ancora stordita dal colpo subito e dalle ore passate a letto, perse l'equilibrio e si appoggiò a lui. Sam fu rapido ad afferrarla e la riportò molto lentamente in posizione eretta. Adesso le sue mani le circondavano i fianchi tenendola ben stretta all'altezza della vita. -E' tutto Ok?. -Non lo so ancora.-gli rispose, fissandolo a lungo in quei suoi occhi verdi. Sam inspirò profondamente una o due volte.La tigre stava ruggendo minacciosamente. Stringila forte a te, soffocala di baci, toglile il respiro, falla tua e non permettere a nessun altro al mondo di farle del male! -Forse è meglio se andiamo.Cioè se ti riporto a letto .- Ma non sapeva decidersi e rimasero immobili, spostati verso l'angolo del cucinino, come due belle statuine di sale, congelati nel loro desiderio, terrorizzati dalle conseguenze delle proprie azioni: adesso le mani di lui erano risalite dalla vita lungo la schiena per posizionarsi all'altezza degli avambracci, mentre quelle di Lizzie erano appuntate sui suoi pettorali, come in una specie di gesto primitivo di difesa; la testa reclinata a destra, giocherellava senza accorgersene con la peluria del petto di Sam, muovendo verticalmente le sue dita di pochi centimetri. Per Sam era come sentirsi dilaniare il petto da un aratro crudele. Dio com'era bella: la sua pelle, illuminata dai primi ed argentati raggi di luna che filtravano attraverso la pesante tenda verde aveva assunto un colorito più scuro e la faceva assomigliare ad una ninfa dei boschi, con quegli occhi enormi e oscuri e le pupille che andavano dilatandosi e fondendosi con la penombra della stanza; aveva un tremito leggero, che scuoteva a tratti tutta la sua persona e le faceva muovere la testa aritmicamente, quasi stesse per sprofondare sotto la massa di capelli bruni. Sam le sistemò una ciocca di capelli ribelli e gliela portò dietro le orecchie e Lizzie sorrise di un sorriso sincero ed un po' misterioso. Le loro bocche si avvicinarono lentamente, coprendo con calma i pochi centimetri che le separavano dal momento che entrambi avevano desiderato probabilmente dall'attimo esatto in cui si erano conosciuti per la prima volta; quando le loro labbra si fusero in un tenero bacio, Sam ebbe la netta sensazione di stare galleggiando di nuovo, solo che stavolta non c'era più la grigia nebbia inconsistente ma un'armonia di colori così meravigliosa che gli faceva quasi scoppiare il cuore al solo pensiero che potesse esistere. La baciò a lungo, senza staccarsi mai, senza permetterle di riprendere fiato, cercando di evitare di pensare. La tigre ruggiva fiera, il desiderio pulsava dentro di lui. Si accorse che lei stava indietreggiando ma non la lasciò andare neanche per un istante: accompagnò il suo movimento leggermente ancheggiante, fino a che Lizzie andò a toccare contro le fredde piastrelle della parete. Sam sentì il corpo di lei inarcarsi per il gelido contatto e la strinse con forza a sé, continuando a baciarle la fronte e il naso per poi scendere giù, lungo il collo, a coprire tutto quel rossore che andava aumentando lì dove le sue labbra sfioravano centimetri quadrati di quella sua pelle che non era mai stata realmente amata. Qualcosa, molto in fondo alla sua mente cominciò a dimenarsi, come un fastidioso campanello d'allarme; la voce di Al gli rimbombò nelle orecchie: "Tu devi stare lontano da quella donna! Se suo marito vi scopre mentre fate.Bigo, Bango, Bongo.Le sparerà alla schiena e probabilmente ammazzerà anche te.Andiamo, Sam, sono io quello che ragiona con gli ormoni, non tu!" Ma qui non si trattava di ormoni, non solo, non più e in un secondo capì che cos'era stato quello sguardo negli occhi dell'amico preoccupato, quasi disperato. Al diavolo tutto. E la tigre balzò finalmente fuori dalla gabbia della propria mente. Appoggiò la propria mano sulla sua gamba destra e cominciò a farla scorrere lentamente verso l'alto, accarezzandole la coscia, giocherellando con l'orlo della sottoveste; il suo sguardo corse al viso di lei, affondato sulla sua spalla, notò di nuovo quel grosso livido bluastro e qualcosa, in lui, s'irrigidì. -Lizzie.Fermiamoci un secondo. Lei lo guardò esterrefatta, senza parlare: fronte contro fronte, i loro fiati si fondevano in unico, caldo respiro. -Forse non è quello che vuoi.Insomma, io non vorrei abusare di te, di una situazione.Tu sei confusa e. Stavolta lei non lo lasciò finire, non gli permise di scappare di nuovo di fronte all'enormità dei pensieri di entrambi: allungò un braccio e gli chiuse le labbra con l'indice, quindi gli afferrò entrambe le mani. E Samuel Beckett seppe esattamente che cosa doveva fare. Camminò all'indietro, sempre guardandola fissa negli occhi fino alla camera da letto di Richard; la lasciò solo un secondo, per chiudere la pesante porta alle loro spalle. Adesso erano completamente soli e distaccati dal resto del mondo. Presente, passato e futuro. Lei si sedette sul letto e gli fece cenno di avvicinarsi e lui rimase fermo a guardarla, incapace di fare un altro passo, imprigionato in quei suoi occhi che si stavano facendo oscuri e andavano riempiendosi di nuove ombre colorate. Il loro desiderio s'incontrò a metà strada, danzò rapido con le tenebre della sera e poi li spinse di nuovo l'una tra le braccia dell'altro. -Ti ho desiderata così tanto da farmi male. -Lo so.-gli rispose in un soffio, tra un bacio sul suo petto e il tentativo maldestro di sfilargli la cintura e i jeans appiccicatisi per il caldo ed il sudore. -Non ho mai amato nessuna come amo te , Lizzie. -Lascia stare il passato- la sua voce sembrava venire da un altro mondo- se tu non lo ricordi farò finta che non sia mai esistito. Ma questo è il mio presente ed è il mio momento, Sam. Lui le bloccò le mani all'altezza della testiera del letto, costringendola a guardarlo fisso negli occhi; attraverso le sue pupille nere riuscì a cogliere un riflesso di se stesso. Ti amo, Lizzie- E la baciò con passione cercando di dirle con quel bacio tutto ciò che non avrebbe avuto il tempo di dirle, preso com'era dalla fame e dalla sete di lei, come se il suo corpo potesse ristorarlo da tutte le fatiche, da tutti gli acciacchi , da tutti i dolori e le ferite che il suo cuore aveva accumulato in quattro lunghi anni di solitari viaggi, mentre il respiro gli si faceva affannoso. Scariche di elettricità sembravano attraversargli il corpo mentre, incerto su dove finisse la propria anima e cominciasse quella di lei, si sentiva di nuovo scivolare e trasportare senza peso e senza tempo in un universo mai esplorato prima; ancora una volta non c'era nessun dolore e nessuna fredda luce blu. Ma stavolta la mente del dottor Beckett non espresse alcuna angosciosa domanda. Finalmente, dopo tanto tempo, si sentì per la prima volta come Ulisse in uno degli ultimi canti dell'Odissea: sapeva di essere approdato di nuovo a casa. -------------------------------------------------------------------------------- Progetto Quantum Leap Stallions Gate, New Mexico Martedì, 16 Aprile 1999 Ore 22:48 L'ammiraglio Calavicci sospirò, mentre, con passo lento e visibilmente stanco, si apprestava a scendere i pochi gradini che separavano la "Camera Immagini" dal resto del complesso dove, da quattro anni a questa parte, era solito passare la maggior parte del proprio tempo. -Ammiraglio.- Al sentì la voce di del computer ibrido parallelo flautata, come quella di una gatta in amore, tingersi di una nota di frustrazione per il fatto che questa era la quarta volta che lei lo stava chiamando senza ottenere alcuna risposta. -Ammiraglio Calavicci. Maledizione al suo ego ipersviluppato. -Che c'è, dolcezza?- Al decise che era meglio risponderle: Ziggy sapeva essere molto persuasiva, asfissiante nella propria monotonia, ossessiva e possessiva al tempo stesso e, poiché non possedeva alcun limite fisiologico alle proprie capacità, sapeva che avrebbe potuto continuare a chiamarlo in quel modo, con quel tono, come se non aspettasse altro che uscire a cena con lui, magari per tutta la notte. -Perché mi ha fatto aspettare?- Chiese l'elaboratore con voce un po' depressa. -Ero assorto nei miei pensieri.-Ed Al rivolse di nuovo lo sguardo alla porta della camera immagini che era rimasta spalancata dopo la sua uscita. -Il dottor Beckett è un grande amatore, il suo fisico è prestante.Molto prestante.La lunghezza del suo. -Ziggy! -Mi scusi, Ammiraglio.Credevo che le interessasse sapere quanto ancora sarebbe durata la notte di felicità amorosa del Dottor Beckett e di Annalisa Howard. -Beh, stavolta ti sei sbagliata, tesoro.- il tono sarcastico di Al produsse una rapida risposta. -Non dimentichi che io e lei siamo mentalmente collegati, Ammiraglio.La sua mente per me non ha segreti.Comunque andranno avanti così approssimativamente per altre cinque ore, ventisette minuti, dodici secondi al termine dei quali prevedo un breve sonno ristoratore che gli permetterà di riprendere da dove hanno lasciato all'incirca per. -Ziggy, piantala!- Stavolta il tono nella voce di Al non ammetteva repliche. -Mi scusi, Ammiraglio, non la facevo così pudico.Ma se davvero tutto ciò non le interessa.Perché sta continuando a guardare? Nessuna risposta. -Ammiraglio? -Mmmmh?- Al mugolò, i pensieri distanti seguivano i movimenti fluidi dei due amanti al di là dello schermo. -Perché non ha voluto provare ad apparire al dottor Beckett? Avevo trovato un pattern di onde cerebrali relativamente stabili, poco prima che cominciasse la sua.Tempesta ormonale.Sarebbe riuscito a mettersi in contatto con lui con un probabilità del 76%! -Troppo bassa.Questi continui tentativi mi fanno venire il voltastomaco! -Alle volte lei ha tentato con probabilità di parecchio più basse, Ammiraglio.- Ad Al sembrò di udire un risolino venire dal corpo centrale di quel gigantesco computer, come se effettivamente sapesse che lui le stava mentendo. -Ziggy.Ci sono cose che un uomo non può fare. -La relazione avventata del Dottor Beckett e della Signora Howard causerà la morte di entrambi i soggetti in questione; è soltanto questione di tempo. La voce fredda e tagliente, leggermente metallica, lo colpì come una lancia e gli attraversò il petto ferendolo molto vicino al cuore. -Non ha importanza.Ziggy. -Sì???- gorgogliò il computer in modo molto provocante. -Lascia perdere le probabilità solo per un secondo; mi sono fidato del mio istinto e credo di aver fatto la scelta migliore. -Francamente, mi sembra una scelta parecchio discutibile. L'ammiraglio Calavicci scosse la testa e rimase fermo, come colpito da un pensiero collaterale.C'era stato qualcosa, qualcosa in quell'affermazione, in quella voce, che non avrebbe dovuto esserci. Qualche centesimo di secondo dopo Al impallidì e si voltò di scatto, sperando di essersi sbagliato e di grosso. Ti prego, fa che non sia lei.Dimmi che me lo sono soltanto immaginato. Ma Donna Elesee era lì, semplicemente in piedi, di fronte a lui: gli occhi neri spalancati fissavano increduli la porta aperta della "Camera Immagini" da cui non proveniva alcun suono. Ma ciò che si vedeva sullo schermo non aveva alcun bisogno di spiegazioni. -Donna.-farfugliò, cercando di frapporsi tra il suo campo visivo e la porta aperta della "Camera Immagini"- Sei ancora sveglia? Credevo stessi dormendo. -Al, togliti di mezzo Lui fece cenno di no con la testa. -Per favore!- Ma il tono con cui lo disse assomigliava molto più ad un ordine impartito con un vigore strano a vedersi, in una donna come la Dottoressa Donna Elesee Beckett. Al si scostò per un secondo, sperando che lei non fosse riuscita a vedere molto, quindi chiuse di scatto la porta della stanza e cercò di assumere un'espressione neutra, perfettamente naturale. Lei rimase ferma lì, davanti a lui, a fissare il pavimento della sala con un'espressione a metà via tra il disgusto e la rassegnazione. -E' molto tardi e siamo tutti e due stanchi morti. -Tu non me l'avresti mai detto, vero Al? -Non c'è niente da dire.Lo sai com'è Sam.Un vero boyscout. Coraggio, guardala attentamente negli occhi e cerca di essere convincente. -Già.Un vero Boyscout!- Gli fece eco lei, una nota di disprezzo nella voce gli fece intendere che, almeno per quella sera, lui non sarebbe riuscito a menarla per il naso. Al Calavicci percepì la tensione nell'aria avvolgerli entrambi come un manto di gelida neve e si sentì, per la prima volta nella propria vita da quando era tornato dai campi di prigionia vietnamiti, completamente impotente. -E' stata Ziggy a chiamarmi. L'ammiraglio si voltò a guardare il soffitto: i suoi occhi scuri si fecero piccoli per la rabbia ed il disappunto. -Credevo che le donne dovessero essere solidali tra di loro...Ammiraglio, mi dica che non è arrabbiato con me, la prego! Maledizione. -Donna, ascoltami. -No, Al, non dire niente, per favore!- Lei reagì quasi gridando, il tremore furente nella voce andava aumentando, lasciando semplicemente immaginare la tempesta che andava formandosi alle soglie della sua anima e che l'avrebbe tormentata durante tutta quella maledettissima notte- adesso non dirmi che lei per lui non significa niente!- Con il pollice della mano sinistra si toccò istintivamente il cerchietto d'oro che portava all'anulare, simbolo di una promessa, di un patto ormai divenuto unilaterale e lo sentì per l'ennesima volta pesante, più di un giogo per buoi; una lacrima cominciò a rigarle la guancia .- Io.Sono sua moglie! -Ma lui non se lo ricorda!- Lo giustificò Al, sinceramente dispiaciuto e partecipe dei suoi sentimenti. -Bugiardo! -Lo sai anche tu che il suo cervello ha più buchi di un formaggio svizzero. -Oh, smettila di inventarti scuse! Si ricorda di suo padre, di suo fratello Tom, persino di qualcuno dei suoi salti precedenti! Forse non si vuole ricordare di me. -Adesso sei ingiusta. -E tu che razza di mostro sei?!- E fuggì via di corsa, riempiendo il corridoio silenzioso dei suoi singhiozzi disperati. -Ah, gli uomini!- Ziggy sussurrò, dall'alto della propria posizione privilegiata- Ammiraglio.A che ora vuole che la svegli domani mattina? Come le ho già detto, il Dottor Beckett manterrà sotto controllo la situazione per diverse ore senza stancarsi troppo. -Lascia perdere, mi sveglierò da me. -Oh, capisco.Ispirato dalle prestazioni del Dottor Beckett ha in programma una serata romantica per festeggiare il ritorno di Tina, Ammiraglio? Lui percepì il tono lussurioso in quella voce calda e suadente. -Veramente avevo in programma una sana sbronza in compagnia di una dolce e liscia bottiglia di scotch. E non dirmi che non lo dovrei fare. -Non penso che sia una buona idea. -Nessuno ha chiesto il tuo parere. Albert Calavicci si allontanò in silenzio a lunghi passi, quasi completamente al buio verso la porta del proprio alloggio. Odio questo bunker dove non filtra mai un raggio di sole; odio dover strisciare sotto terra come un verme e spendere qui i miei anni migliori; odio dover fare da balia. Ma bloccò il proprio pensiero. Prima che Ziggy riuscisse a leggerlo.