Five Chapter Residenza degli Howard Venerdì, 26 Agosto 1955 Ore 17:28 Gordon Howard appese il ricevitore del telefono al muro e si voltò, sogghignando soddisfatto. -Al vecchio Norton sono appena nati una trentina di fantastici pulcini.Mi ha invitato a vederli, prima che li porti alla fiera per poterli vendere, dice che mi farà un prezzo speciale e che, se mi sbrigo a partire, potrò essere alla sua fattoria prima che si faccia troppo buio; sua moglie cucinerà una buona cenetta e passeremo la serata a ricordare i bei giorni andati.Gli ho detto che tu non stavi troppo bene.E che non saresti venuta con me- disse, e si fermò a fissare Lizzie per un secondo, qualcosa gli si accese negli occhi; subito riprese:- Del resto, non saresti stata altro che un impiccio: stupida come sei non riconosceresti un tacchino da un pollo!-Sghignazzò, evidentemente divertito, prima di concludere:- e poi non mi va di lasciare quel negro qui da solo; forse in due riuscirete a ragionare come una persona con un cervello quasi normale! Lizzie non rispose, impegnata com'era a nascondere una lacrima appena visibile all'angolo dell'occhio destro: le era sorta spontaneamente, succedeva sempre così ogni qualvolta spolverava la minuscola vetrinetta degli oggettini in porcellana e sollevava tra le dita la miniatura di una gondola veneziana, l'unico ricordo italiano che Gordon le aveva concesso di tenere in casa. -Ehi donna, sto parlando con te! -Sì, Gordon, certo, vai pure.- Gli rispose, senza troppa convinzione. Quel luccichio negli occhi del marito cominciò a brillare più intensamente. -Da quando in qua mi dai le spalle mentre ti parlo?! Sei diventata matta? Lizzie si girò di scatto ed arretrò inconsciamente verso la parete più vicina. -Scusami, è che stavo spolverando e non volevo rompere niente.-nel chiarore della stanza, lui vide la sua mano destra tremare leggermente, le dita avvinghiate alla gondola di Venezia, quasi fosse l'unico mezzo per potergli sfuggire. -Già, quelle piccole cianfrusaglie sono molto importanti, vero? Più importanti di tuo marito, del rispetto che gli devi. -Nnno.Non ho detto questo.Pensavo. -Tu pensavi?!- La sua voce assunse un tono di patetica sorpresa- e da quando hai cominciato a pensare per i fatti tuoi, senza ascoltare quello che ti dico?- Gli piacque vedere che Lizzie aveva abbassato gli occhi e li teneva fissi al pavimento, senza osare aprire bocca. -Sai che cosa penso io invece?- Le si avvicinò, con un'ampia falcata, fino a quando non fu certo di averla chiusa in trappola- che così le cose non vanno, che stai prendendo una brutta piega e che hai bisogno di una bella ripassata.-Ed allungò la sua tozza mano destra, afferrandole la coda di cavallo. -Ah!-Annalisa gridò, storgendo il capo- ti prego.Ti prego, Gordon, perdonami.Non volevo, io non volevo offenderti. -Ah no?!- Adesso sorrideva di un sorriso malvagio e sinistro, mentre le tirava con forza i capelli, costringendola ad abbassare la testa piegando le gambe, fino all'altezza del cavallo dei suoi jeans impolverati e stinti- e scommetto che ieri non volevi rompere quel vaso, così come scommetto che tu credi di essere una brava moglie. -Faccio quello che posso.. -Non è abbastanza!- Le gridò, mentre il precedente furore, lentamente, cedeva il passo ad una specie di primordiale istinto- Se tu fossi veramente una brava moglie, non mi lasceresti andare via così.Non potresti stare un minuto senza di me, ti prodigheresti per il mio piacere ed invece piuttosto che stare con te preferisco passare il tempo con le puttane di Lou! E' colpa tua, non lo capisci? E adesso ti dovrò punire, come si fa con gli asini quando non ne vogliono più sapere di andare avanti, così capirai, una volta per tutte, chi comanda qui!!!- E la scaraventò con violenza contro il muro; lei scivolò a terra e si storse una caviglia, ma si morse le labbra per non urlare: non sarebbe servito a niente, l'avrebbe solamente eccitato di più. -In piedi, puttana!- Le urlò, portandosi le mani alla patta e cominciando a sbottonarsela. Lei si alzò lentamente, gli occhi sempre fissi a terra, con le lacrime che già le irrigavano il volto, scendendo leggere lungo le sue guance. -Ti supplico, Gordon.Lasciami andare. Lui l'afferrò con forza per la spalla e la costrinse ad avvicinarsi. -Fra poco mi supplicherai perché io continui.-le disse, con il respiro già pesante, mentre cercava di sbottonarle il corpetto del vestito con le mani e le percorreva il collo con le labbra umide; Lizzie rabbrividì a contatto con la sua pelle ruvida, con le sue guance ispide, con la sua bocca bagnata e viscida, come il ventre di un grosso rospo; sentì emanare dal suo corpo l'odore ormai noto dell'alcol e del tabacco, quello degli animali chiusi nei recinti e del suo sudore e seppe di non avere più scampo. Pregare non sarebbe servito a niente, lo avrebbe irritato di più e lui, per vendicarsi, per zittire quel poco di coscienza che ancora gli restava, l'avrebbe picchiata più forte, le avrebbe fatto molto male e, alla fine di quell'atto barbaro, le avrebbe affibbiato la colpa di ogni cosa; era sempre lei quella che provocava, lei quella che lo faceva comportare male, lei che lo costringeva a darle una lezione perché non voleva capire. Soffocò i singhiozzi e cercò, come aveva sempre fatto, sin dalla prima volta, in Italia, quando lui l'aveva presa con la forza al riparo di uno dei vecchi ed inutilizzati magazzini che sorgevano tutto attorno al porto, di estraniarsi e di fuggire almeno con la mente: immaginò di essere con Sam, nel futuro, lontana cinquant'anni da quell'opprimente peso, da quel dolore lancinante che cominciava a sentirsi dentro, dal suo fiato caldo ed appiccicoso, da tutto quello schifo che aveva riempito la sua vita; chiuse gli occhi, cercando di asciugarsi le lacrime con una mano, lasciando che Gordon la tenesse contro il muro, che finisse in pace il suo lavoro, che la stringesse fino a farle male, sperando di sentirla urlare pietà, perdono, qualsiasi cosa che testimoniasse una sua partecipazione a quell'atto brutale. Ma, dalla sua bocca, non uscì altro che un grido soffocato nel momento più intimo del contatto, l'unico suo momento di debolezza: sapeva che, la sua fredda apatia, il suo nascondersi in un posto irraggiungibile ed inaccessibile a lui lo avrebbero fatto infuriare orribilmente, che alla fine si sarebbe staccato da lei, le avrebbe schiaffeggiato le guance con violenza e poi se ne sarebbe andato via deluso e sconfitto perché, mentalmente, non l'aveva mai realmente posseduta, nemmeno per un secondo. Questa era l'unica forma di protesta e di difesa che a Lizzie era concessa, l'unico baluardo contro il suo infelice stato coniugale non erano altro che un pugno di sogni. La piccola gondola di Venezia le cadde di mano e si frantumò ai loro piedi, esplodendo in un milione di frammenti: le parve di riuscire a percepirli, uno ad uno, cadere e sgusciare in ogni direzione, tanto il tempo si stava dilatando, facendole sentire, dentro il proprio corpo, quanto poteva essere lungo e doloroso ogni singolo secondo. Finalmente, lui si staccò, spostò le sue grosse mani dallo strappo che avevano provocato al suo vestito, all'altezza del suo seno destro e le sollevò il volto arrossato. -Guardami.- Le sussurrò. Lizzie aprì gli occhi, ma non lo stava guardando per davvero: davanti a lei vedeva una spiaggia bianca, un mare tranquillo e profumato e Samuel Beckett che le tendeva entrambe le mani e che, con quel suo sorriso disarmante, la fissava intensamente e le accennava l'oceano alle loro spalle. -Ti ho detto di guardarmi! Ma lei continuò a tenere lo sguardo lontano, fisso nel vuoto di quel salone di cui non riusciva a distinguere nettamente i contorni, un lampo di luce nuova, che Gordon interpretò come sfida, lo stava animando. Lui la scosse con violenza, facendole sbattere la testa contro il muro. -Non hai ancora imparato, vero? E le assestò uno schiaffo sulla guancia sinistra; Lizzie scivolò di nuovo sul pavimento, con la dolcezza di una foglia morta che si stacca da un ramo; sentì qualcosa di caldo colarle giù dal naso, finirle sulle labbra e proseguire lungo le pieghe della sua bocca ed oltre il mento. Era il suo sangue, se ne rese conto dopo qualche centesimo di secondo, se lo asciugò con una mano e ne fissò il colorito scuro, come se lo vedesse per la prima volta, poi, avvertì un rumore di fronte a lei e sollevò lo sguardo. Gordon le stava dirimpetto, si era sfilato velocemente la cintura dei pantaloni e la stava fissando con un'espressione folle e le pupille dilatate per l'eccitazione: -Piccola sgualdrina.Adesso vedremo se non ti metterai ad urlare. La cinghia vibrò nell'aria, sibilando come un cobra pronto a colpire; Lizzie sollevò una mano meccanicamente e la pose davanti al viso. Ma sapeva che non sarebbe servito. -------------------------------------------------------------------------------- Cortile degli Howard Contemporaneamente -Lo sai che sei proprio bravo a piantare i pali? -Piantala, Al; grazie al cielo ho quasi terminato qui.-E Sam assestò un ultimo e vigoroso colpo di zappa al terreno, prima di arrestarsi a detergersi il sudore dalla fronte madida e fu allora che si accorse della differenza. -Al.la tua immagine sta tremando, perché? -Oh, buongiorno, Bella Addormentata! Te l'ho detto che il collegamento con te si è parecchio indebolito. Sam spostò lo sguardo altrove: dopo una breve panoramica, incrociò il tetto della residenza degli Howard e vi si incatenò per un brave secondo. -Sam.Sam! -Che c'è? -Non mi piace. -Che cosa? -Lo sguardo che hai, le cose che fai.Ti fai la barba ogni mattina! Il dottor Beckett squadrò l'amico da capo a piedi: aveva gli occhi stanchi, cerchiati da occhiaie profonde, i capelli spettinati e la barba di almeno due giorni che cresceva sulle guance scavate non faceva che peggiorare la visione d'insieme. -Non si può dire lo stesso di te.Cos'è, Tina vuole un uomo più.Sofferto? -Molto spiritoso.-Tossicchiò l'Ammiraglio, prima d'infilarsi in bocca l'ennesimo sigaro da cui aspirò profondamente un paio di boccate- Lei e Gooshie sono appena tornati, per due giorni ho dovuto fare tutto da solo.-Tacque: non poteva dire a Sam della visita del Senatore Doggett, le regole non lo permettevano. Stupide, inutili regole. Gli mancava quell'aspetto della loro relazione: l'impossibilità di dirsi tutta la verità, di vuotare il sacco; Al fu tentato dalla situazione, dal desiderio di condividere le proprie preoccupazioni con l'unico vero amico che avesse mai avuto sulla faccia della terra. Socchiuse le labbra. Ed il collegamento manuale, forse per caso o forse no, cominciò a lamentarsi in modo inequivocabile. -Che succede? -Niente d'importante.Un piccolo calo di potenza.-gli assestò un pugno violento e tutto, per un attimo tacque. Nel silenzio afoso di quel lungo pomeriggio, Sam udì il rumore distinto di qualcosa che andava in frantumi. D'istinto, voltò la testa verso la casa degli Howard e tese le orecchie, mentre il collegamento manuale ricominciava ad emettere dei flebili suoni. -Sam.- Al scomparve per un secondo per potergli riapparire davanti e costringerlo a fissarlo negli occhi, ma lui distolse lo sguardo. -Sam, che cosa mi stai nascondendo? -Niente, niente.-Riprese in mano la zappa e fece per assestare un altro colpo, ma qualcosa, di nuovo lo arrestò e gli fece voltare la testa nella medesima direzione di prima. -Sam te l'ho già detto che non mi piace, vero? -Sì e se non hai altro da dirmi puoi anche andartene! Al rimase colpito e ferito nell'orgoglio e fece per aprire la porta della camera immagini. -L'ho baciata, Al.-Il Dottor Beckett lo sussurrò a mezza voce ed abbassò gli occhi a fissarsi la punta delle scarpe. -Tu cosa?! Oh mamma, Sam! Chi ha baciato chi? Gooshie. -Noi, io, lei.Insomma, ci siamo baciati. -Quando? -Ieri sera, a casa sua. -Lo sapevo, lo sapevo! -Sta' tranquillo, non è successo niente. -Niente? Questo per te è niente? Sam, ti si è fuso il cervello?! Tu devi stare lontano da quella donna! Se il marito vi scopre a fare Bingo Bango Bongo le spara alla schiena, l'hai dimenticato?! Sam non rispose, limitandosi a respirare, cercando di mantenere il controllo; Al aveva ragione, aveva dannatamente ragione. -Sam, come hai potuto permettere che questo accadesse? Insomma, non hai pensato. -Non posso pensare. -Non puoi pensare? Gooshie, chiama Verbena! Questo è diventato matto. -No, non posso pensare.Al, ho paura.Paura dei miei pensieri.Io la desidero, Al, non penso ad altro che a farla mia.Non ce la faccio a starle lontano.-Deglutì a fatica ed Al scosse la testa disperatamente. -Sam, ascolta, lo so come ti senti. -No.-stavolta fu il suo turno di negare violentemente con il capo- Tu non lo sai! Non sai cosa si prova! Questa che sto vivendo non è una vita ma solo una specie di grottesco sogno ad occhi aperti, una gabbia dorata, una prigione di fili di tela di ragno che non ne vuole sapere di farmi uscire.Al, io non era niente prima di incontrarla! -Sam ma che stai dicendo?! -Dico che sei qualcuno soltanto finché esiste un altro essere sulla faccia della terra capace di donarti un po' d'amore ed un sorriso.Per troppi anni non ho avuto nient'altro che pacche sulla spalla da sconosciuti, flebili ringraziamenti per il mio lavoro.Non voglio più fare la cavia, amico mio, non voglio più svegliarmi e chiedermi qual è la mia faccia, andare in giro nel corpo di qualcun altro e fingere di essere quello che non sono. -Sam, se vuoi tornare a casa devi lasciarla stare! Ziggy dice che. -Al diavolo Ziggy e le sue probabilità! Non ricordo neppure com'è fatta quella che tu chiami casa! Ma qui. Proprio in quell'attimo, un grido acuto lacerò l'aria, interruppe il lavorio frenetico della mente del Dottor Beckett, impedendogli di chiarificare il proprio, sconvolgente ed avventato pensiero; un altro grido ed un rumore di passi concitati. La porta d'ingresso della casa si aprì rapidamente di un palmo, ma una forza maggiore la richiuse con violenza. Poi tutto fu silenzio. -Che diavolo sta succedendo?- La voce di Sam spezzò quello stato di calma apparente. -Non lo so.-Al scosse le spalle. -Perché non chiedi a Ziggy? Presto! Al cavò lentamente dalla tasca il collegamento manuale che brillava in modo caotico e premette rapidamente un paio di bottoni; ma conosceva già la risposta, era appunto venuto per dirgli questo: che Gordon Howard avrebbe picchiato la moglie per tutto il pomeriggio, lasciandola mezza morta sul pavimento del salotto. -Lui la sta.Sam! Sam che diavolo vuoi fare? Ma Sam non lo stava ascoltando più: la sua mente brillante aveva fatto due più due in un batter d'occhio, il suo cervello aveva elaborato una strategia; corse a perdifiato fino alla stalla dove le mucche ruminavano tranquille, ne spalancò il pesante cancello che Gordon aveva riparato da poco e picchiò violentemente la prima bestia sul capo, gridandole negli orecchi. L'animale, impaurito, scalciò ed arretrò quindi, avvistato con un occhio il cancello aperto, corse velocemente al di fuori della stalla e si diede alla fuga; dopo qualche secondo, tutte le altre seguirono la prima fuggitiva, tra un rumore pauroso di zoccoli ed un misto di muggiti spaventati. -Sam che cosa vuoi fare? -Che dice Ziggy? Maledizione, Al, che diavolo dice?! Al lo fissò in quegli occhi così preoccupati che non aveva mai visto prima, quindi abbassò lo sguardo sul piccolo monitor e sentenziò: -Ci sono 94 probabilità su cento che Gordon la lasci stare.Quel bastardo si preoccupa più degli animali che della moglie; mmmh- si schiarì la voce mentre la sua mente decideva se continuare a leggere ciò che il monitor portava scritto a chiare lettere- Ecco.Lei dice che Gordon ha intenzione di partire.Di stare via fino a domenica e che se, quando avrà finito con le vacche, con te e con i suoi bollenti spiriti la valigia sarà pronta sul letto.Se ne andrà a casa di qualcuno dei suoi amici ubriaconi e la lascerà in pace. -Richard Wright!!!- Tuonò Gordon, molestato da tutto quel trambusto; si fece sulla porta, tenendosi i calzoni con la mano, a petto nudo e con i capelli scomposti- Che cazzo stai combinando? Ti conviene cominciare a pensare ad una scusa buona o, quando avrò finito con quelle luride vacche ti pesterò così tanto da cambiarti quei connotati da negro!- Quindi rientrò per un attimo in casa e gridò alla moglie: -Con te non ho ancora finito, bellezza! Ci siamo spiegati?- Rimise la cintura al proprio posto e si precipitò verso Sam come una furia vendicatrice. -Va' da lei, Al, te ne prego. -E che cosa potrei fare per lei? Non può vedermi.No, Sam, è inutile che mi guardi così, tanto non lo farò! -Andiamo, Al! Ti supplico: se non l'aiuti tu lui la ucciderà! -Questo tu non puoi saperlo! -Ma so che l'amo! E so che tu sei il mio migliore amico! Lei riesce a vedere me; non ti sarà difficile trovare una frequenza compatibile con le sue onde cerebrali.E' una cosa semplice, amico mio, non abbandonarmi adesso. Al sospirò mentre lo guardava allontanarsi, camminare all'indietro ritardando l'incontro con Gordon e mantenere lo sguardo fisso su di lui, come ad assicurarsi che facesse quello che gli aveva domandato. -Gooshie.Centrami su Lizzie e fa' in modo che lei possa vedermi.Non mi importa sapere come farai né che cosa sta ululando Ziggy! Devi farlo ORA!- poi chiuse gli occhi e pregò chiunque fosse in ascolto di aver fatto la cosa giusta. -------------------------------------------------------------------------------- Residenza degli Howard Venerdì, 26 Agosto 1955 Ore 18:54 -Lizzie, ci sei?- La domanda di Al rimase senza risposta; Gooshie l'aveva fatto apparire al centro della cucina della casa degli Howard. Tutto era in perfetto silenzio: dalla finestra entravano, portati dal vento, gli strilli e le bestemmie di Gordon alle prese con le vacche e con Sam Beckett. Al si spostò velocemente dalla cucina al salotto, chiuse nella tasca il fastidioso collegamento manuale che continuava a ricordargli come stesse infrangendo ogni sorta di regola e rimase in ascolto: flebile, come il miagolio di un gattino, un singhiozzo soffocato attirò la sua attenzione. Si chinò e guardò attentamente sotto il tavolo, verso l'angolo opposto della stanza. Lei era lì, rannicchiata contro il muro, le braccia strette attorno al corpo a proteggersi inutilmente contro qualcosa molto più forte di lei, i capelli quasi sciolti sfuggivano dalla coda sfatta. -Lizzie, riesci a vedermi? Lei si strinse contro la parete, ancora più spaventata e spalancò gli occhi. -Calmati bambina. -Sei l'amico di Sam?- Gli chiese Annalisa, la sua voce era quasi un sussurro. -Sì, mi chiamo Al e sono qui per proteggerti. -Nessuno può farlo; stavolta mi ammazza sul serio. -No, non lo farà! Io e Sam glielo impediremo, ma tu devi darci una mano.- Le guardò le braccia segnate da diverse strisce rossastre e sentì la rabbia crescere nel fondo del suo cuore. - Lizzie, ascoltami, adesso devi essere molto forte e coraggiosa. Lei continuava a fissarlo incredula, gli occhi pieni di puro terrore. -I miei amici del futuro mi hanno detto che Gordon stava per partire, è esatto? Lei annuì rapidamente. -Perfetto! Adesso devi alzarti e fargli la valigia; devi farlo! Altrimenti lui non partirà mai! -Non ce la faccio. -Si che puoi! -Non posso muovermi. -Se non ti alzi subito, per te e Sam sarà la fine. -Sam?- Lei gli rivolse tutta la propria attenzione. -Gordon è parecchio arrabbiato perché Sam ha liberato gli animali.Se non partirà lo picchierà molto duramente e nessuno potrà salvarlo! Annalisa sbatté le palpebre, come per ridestarsi da un lungo sogno, quindi si sollevò dolorosamente in piedi. -Che cosa devo fare? Al la guidò attraverso tutta la casa, docilmente, come se stesse pilotando un robot: lei eseguiva i suoi ordini in silenzio, senza pensare, probabilmente senza rendersi conto di quello che stava facendo. Con l'aiuto di Ziggy Al localizzò il necessario per la partenza di Gordon: vestiti, pigiama, accessori per la toilette, tutto finì a riempire diligentemente un'elegante valigia in pelle, quindi Lizzie appoggiò un completo chiaro sulla sponda del letto e vi abbinò una cravatta color panna. -Perfetto, bambina; sai, sei davvero speciale.-Le disse di sedersi un attimo in cucina, le promise che sarebbe rimasto con lei fino a quando Gordon non se ne fosse andato; Al la fissava di sottecchi e si domandava per quale tragico scherzo del destino una donna come quella fosse stata assegnata ad un uomo come Gordon. Sam aveva veramente ragione: quel bastardo non meritava neppure di condividere con lei la stessa aria, eppure lui poteva averla, maltrattarla, persino violentarla e restare impunito. Le guardò il vestito sdrucito, spiegazzato sulla gonna, strappato all'altezza del seno e comprese quello che era accaduto e come non fosse nient'altro che routine per quel mostro di Gordon. Lizzie tremava ancora quando il marito, sudato ed accaldato, rientrò bestemmiando dalla porta d'ingresso. Le si avvicinò, le tirò i capelli in modo che lei lo fissasse dritto negli occhi e le disse: -Ma che tempismo! Che brava mogliettina sei.Hai già preparato tutto, si direbbe che tu sia quasi felice della mia partenza.Ma so che ti mancheranno le mie carezze tesoro!- Le spremette un seno con la sua grossa mano sinistra e scoppiò a ridere.- Dimmi che ti mancherò e che non puoi fare a meno di me. -Che gran bastardo! Lizzie, ti prego, non reagire.Avanti, bambina, digli quello che vuole sentirsi dire, così se ne andrà e ti lascerà in pace. -Sto aspettando.O vuoi che ci divertiamo ancora un po'? -Avanti Lizzie! -Mi.Mancherai tanto.-Lei sussurrò, la voce incrinata dal pianto e le lacrime che le scendevano, finendo a bagnare la mano del marito. Lui la lasciò andare di colpo. -Che schifo! Mi fai venire da vomitare!- E si avviò verso la camera da letto. Venti minuti dopo, lavato, profumato e vestito come un vero gentleman, Gordon uscì di casa senza dirle una parola, caricò la valigia, accese il motore del proprio furgone azzurro e partì in fretta , sollevando un nuvolo di polvere mentre risaliva la strada sterrata. Quando l'ultimo segno della sua presenza disparve, Sam si precipitò nella casa degli Howard e la chiamò a gran voce. -Lizzie! Mio Dio, che ti ha fatto?- Lui era impolverato ed aveva i capelli pieni di terra poiché Gordon lo aveva colpito più volte facendolo cadere al suolo e lui non aveva reagito, nemmeno una volta. Lei si alzò dalla sedia, con passo tremante gli andò incontro, cercando di fare affiorare un sorriso tra le lacrime e gli scivolò senza parole tra le braccia. -Sta tranquilla, va tutto bene ora, ci sono qui io, sei a casa. Sam la strinse forte al proprio petto e la sollevò in braccio: Lizzie era svenuta pochi attimi dopo averlo raggiunto; non aveva peso, era come portare tra le braccia un gattino malato. L'Ammiraglio Calavicci scosse lentamente la testa. -Oh, Sam. E sparì silenziosamente senza lasciare traccia.