CHAPTER FOUR Progetto Quantum Leap Stallions Gate, New Mexico Lunedì, 15 aprile 1999 Ore 21:48 -Ehm.Computer.? -Senatore Dogget, la prego, non mi tratti come se fossi il computer dell'Enterprise.Io posso svolgere. - D'accordo, Ziggy.-Al la interruppe, prima che lei cominciasse ad elencare tutte le proprie abilità con tono scocciato, rovinando definitivamente l'incontro con quelli del governo; era da più di due ore che il Senatore Doggett continuava a fare domande, a toccare ogni pannello, ad investigare infilandosi e togliendosi quei suoi occhiali da miope ed emettendo dei sospiri che non lasciavano presagire nulla di buono. - Sam.Il Dottor Beckett, le ha inserito l'ego di barbara Streisand.Era un suo grande ammiratore.E chi non lo sarebbe?- ma la sua battuta non fu accolta e, nell'ampia stanza controllo, per un secondo cadde il silenzio. - Chieda pure, Senatore. -Vorrei sapere dove si trova il Dottor Beckett adesso. -La domanda esatta è quando si trova, Senatore; il Dottor Beckett si trova in****, un piccolo paesino della Louisiana ed è il 1955. -Ma io non ho visto il Dottor Beckett addormentato su una sedia di quella che voi chiamate" Sala d'aspetto"? -Tecnicamente no.-Il tono di Ziggy cominciò ad assumere una nota di noia e di disprezzo che Al sperò passasse inosservata alle orecchie disattente dell'ascoltatore- come l'Ammiraglio Calavicci le ha già tentato di spiegare più volte, quella che lei vede è solo l'aurea fisica del Dottor Beckett, il cui corpo si trova in questo momento nella cucina della residenza degli Howard. Al sorrise di nascosto osservando il viso confuso del Senatore: Sam era lo scienziato più brillante del pianeta, ma di certo non aveva scelto un metodo facile da spiegare per viaggiare nel tempo. -Credo di aver visto abbastanza, Ammiraglio. - Il tono stanco e vagamente indispettito del Senatore Doggett lo riportò rapidamente alla realtà. - Sono profondamente convinto che quello che state facendo qui sotto non sia nient'altro che una follia ma per adesso non posso fare di più; lassù- e sollevò il doppio mento verso il soffitto- c'è ancora qualcuno disposto a credere a quel ciarlatano del vostro Dottore- si grattò la pancia prominente con fare pensoso- per quanto mi riguarda lei ed il suo. coso. -Elaboratore ibrido parallelo, Senatore- Lo corresse Ziggy, decisa a rovinargli la serata facendolo sentire un perfetto idiota. -Quello che sia.Non siete altro che una banda di venditori di fumo che spende i soldi del congresso.Ma verrà il giorno della verità!- Tuonò Doggett con fare apocalittico e poi si diresse all'uscita, maledicendo i computer, gli elaboratori ibridi paralleli, Star Trek, la fantascienza ed i viaggi nel tempo. -Grazie mille, tesoro- Sibilò Al, quando non udì più i passi del grasso senatore risuonare per le arcate vuote ed i soffitti del sotterraneo. -Prego Ammiraglio.-Il computer emise un risolino: evidentemente, metterlo in difficoltà era una cosa parecchio divertente. -Ziggy, dov'è la Dottoressa Beeks? -Nella sua stanza.Ammiraglio, non le andrà a dire che sono stata cattiva con lei, vero? Al scosse la testa e spense la luce senza rispondere. -Posso entrare?- Chiese qualche minuto dopo, quando raggiunse gli alloggi del personale. La pesante porta si aprì ed una giovane donna di colore gli sorrise con fare amichevole. -Certo, Ammiraglio, vuole un caffè? -No, grazie, sto per andare a letto. -Credevo fosse andato a raggiungere Tina e Gooshie a Las Vegas. Al fece una smorfia di disgusto e si schiarì la voce. -Fa troppo caldo per giocare al tavolo verde. -Ma non è per parlare del tempo che è venuto qui, vero?- Verbena Beeks indovinò, lo faceva sempre dopo solo qualche secondo di conversazione privata; i suoi occhi grandi erano come specchi in cui Al colse un riflesso di se stesso: il viso stanco e provato sembrava quello di un vecchio e l'Ammiraglio Calavicci distolse in fretta lo sguardo. -Gran bella serata.-Commentò, tanto per dire qualcosa, la sua mente vagava, sospesa, tra la nebbia fitta dei suoi pensieri. -Ziggy dice che l'estate del 1955 è stata una delle più calde in Louisiana. Il pensiero di Al corse veloce a Sam. E a Lizzie. -Sì, di sicuro ha ragione. -Sam è in pericolo? -Oh, no, non in quel senso almeno.Lui sta benone. -E' per via di quella giovane donna, quella che è riuscita a vederlo? Al spalancò gli occhi interrogativamente. -Me l'ha detto Ziggy.Non è capace di tenere un segreto per più di cinque nanosecondi! L'Ammiraglio sorrise di un sorriso stanco, quindi aprì il primo cassetto della scrivania di Verbena, vi appoggiò il collegamento manuale e lo richiuse con forza. -Perché non ne parliamo un po'? Prego.- Lei gli indicò una poltrona parecchio confortevole e lui vi sprofondò socchiudendo gli occhi. -Non si fida di lei?- Gli chiese dopo un po'. -No, non è questo.Insomma Lizzie è una gran brava ragazza, è molto attraente, è gentile, credo che si stia affezionando sinceramente a Sam. -Qual è la sua missione? -E' lì per salvarle la vita.Nella storia originale il marito la sorprendeva in flagrante adulterio e le sparava alla schiena.Il problema è che Lizzie.Ecco, lei e Sam.Lui è saltato nell'uomo con cui. -Crede che il Dottor Beckett non sarà in grado di portare a termine il proprio compito? Al sospirò, massaggiandosi il cranio con la mano destra, mentre la sinistra era impegnata nella ricerca di un sigaro che doveva esserglisi impigliato nel taschino della camicia. -No, non credo.Temo che lui si sia innamorato di lei e che, quando tutto sarà finito, non vorrà più venire via. -Questo è possibile?- La rivelazione aveva colpito anche la psicologa, come un secchio d'acqua gelata in piena faccia. -Noi non sappiamo bene chi o che cosa stia facendo saltare Sam, ma non abbiamo mai preso in considerazione l'ipotesi che la sua volontà possa c'entrare qualcosa con il Quantum Leap.Se questo fosse vero. -Lui adesso dov'è?- Verbena parlava lentamente, scandendo le parole, cercando di trasmettergli tutta la fiducia e la simpatia che effettivamente provava per Al in quell'istante. -A cena.Da lei. -E lei non ha cercato di fermarlo? Ho saputo che il contatto con il Dottor Beckett è piuttosto complicato.Da quanto tempo non gli parla? -Veramente.-la sua voce ebbe un tremito appena percettibile- gli ho parlato un paio d'ore fa. Verbena, non me la sono sentita. -Di fare cosa? -Di fermarlo! Avresti dovuto vederlo: era da parecchi salti che non lo vedevo più così.Vivo, ecco il termine esatto! Avrei potuto fermarlo, ne sono certo, sarebbe bastato così poco per quel suo carattere da boy-scout e invece niente, l'ho lasciato andare e se stavolta lo perderemo per sempre sarà tutta colpa mia!- Al terminò la frase quasi in un gemito, la mano destra sosteneva la fronte mentre la sinistra stringeva convulsa il sigaro recuperato ed ancora spento. -Al.-La Dottoressa Beeks avvicinò le loro sedie e gli sfiorò gentilmente la gamba- capisco come si sente in questo momento, ma non deve colpevolizzarsi.- Lui aprì gli occhi e la fissò con stupore, ma rimase ancora in silenzio- Se il Dottor Beckett deciderà di restare, sarà semplicemente una sua scelta. -Ma io non posso permetterglielo!- Al si alzò di scatto mentre la maschera dell'indifferenza gli crollava dal viso, lasciandogli un'espressione contrita e disperata che Verbena non aveva mai visto prima- Mio Dio, chi baderà a tutto questo se lui decide di restare? E che ne sarà di quel ragazzo nella "Sala d'Aspetto"? E di Donna, di Tina, di Gooshie, di me e di te, del progetto. Beeks sospirò con rassegnazione e scosse la testa: il momento buono era passato, l'attimo fuggente in cui l'Ammiraglio Calavicci si era mostrato vulnerabile e le aveva aperto il cuore abbattendo, per un secondo, quel muro di diffidenza che lo rendeva spesso estraneo al resto del mondo e che venava ogni suo rapporto interpersonale era scomparso in un lampo; adesso era tornato quello di sempre: deciso, testardo, apparentemente sicuro di sé. Ma i suoi occhi mantenevano ancora una traccia di quello che era stato, le sue occhiaie non potevano mascherare i suoi sentimenti, il fatto che si sentisse tremendamente in colpa per Sam, per quello che avrebbe dovuto fare, perché sapeva che non gli avrebbe permesso di mandare tutto all'aria per una ragazzetta italiana, che avrebbe perfino giocato sporco, se fosse risultato necessario, pur di farlo retrocedere da quel suo pazzo desiderio. L'avrebbe riportato a casa. -Ammiraglio.- Verbena ci riprovò, ma sapeva che era ormai perfettamente inutile. -Ti ringrazio per avermi concesso il tuo tempo.Ma è molto tardi ed io non vedo l'ora di andarmene a letto.- Detto questo, le scoccò un bacio con la mano e si allontanò a grandi falcate. Lei si alzò per chiudere la porta, quindi si diresse verso il cassetto della scrivania, lo aprì, ne estrasse il collegamento manuale, ciò che permetteva ad Al e a Sam di mantenere il contatto e lo rigirò tra le dita lunghe ed abili. L'Ammiraglio Calavicci l'aveva inconsciamente, o forse consciamente, dimenticato lì, nel suo alloggio: probabilmente, non averlo accanto per quella notte, lo avrebbe aiutato a non pensare, a rafforzare il proprio proposito di riportare il Dottor Beckett a casa. Accarezzò i cubetti luminosi che lo componevano, con cautela, mentre un pensiero le si fissava nella mente e cominciava a torturarla con la chiarezza che possiedono quelle illuminazioni che ci raggiungono, talvolta, nel cuore della notte: Forse il Dottor Beckett aveva trovato una nuova casa. Residenza degli Howard Giovedì, 25 Agosto 1955 Ore 22:09 Il silenzio regnava sovrano nella cucina degli Howard, interrotto a tratti soltanto dal fastidioso rumore provocato dal modo di masticare, rumoroso e scomposto, di Gordon; Sam aveva mangiato di gusto tutte le pietanze italiane che Lizzie aveva preparato appositamente per lui: si era letteralmente ingozzato di spaghetti al pomodoro, aveva fatto incetta di patate arroste e si era lanciato sul polpettone con un impeto che aveva fatto sorridere Lizzie da dietro la solita mano tesa a nascondere la curva dolce di quelle sue labbra. Gordon l'aveva rimproverato per la sua fame, anzi non aveva fatto altro che insultarlo per tutta la serata, ricordandogli come "quelli come lui" non fossero capaci di altro che di mangiare il pane altrui e che, se mai quell'imbecille di sua moglie si fosse decisa a fargli un moccioso, non l'avrebbe portato da lui neppure per fargli curare un semplice raffreddore. Ma a Sam non importava affatto, di più, non lo stava neppure ad ascoltare, tutto intento com'era a fissare Lizzie di sottecchi, a coglierne ogni più piccola espressione, ad ammirarne i tratti fini ed eleganti, a sognare che quelle sue piccole mani gli accarezzassero il petto e le spalle con la stessa grazia e morbidezza con cui ripiegavano il tovagliolo che non avevano minimamente sgualcito. Lei, al contrario, non aveva mangiato quasi nulla: gli occhi fissi sul proprio piatto semi vuoto si alzavano e si abbassavano con la velocità con cui una libellula sbatte le ali per andarsi a posare sul capo di Sam: si era accorta dei suoi movimenti inquieti, dei suoi sorrisi, di come il suo tono cambiava in quelle rare parole che gli era permesso rivolgerle al cospetto del marito e quella specie di gioco sottile ma eccitante, in cui a turno assumevano il ruolo di gatto e di topo, le aveva animato le guance e aumentato la tensione che la faceva stare appoggiata allo schienale, rigida come una corda di violino. Si nascondeva le labbra dietro il tovagliolo, ma i suoi occhi brillavano di mille piccole schegge di felicità mentre osservava Sam divorare la cena e nel suo cuore si chiedeva da quanto tempo lui non faceva un pasto decente, chi si era preso cura di lui durante tutti questi lunghi anni e come fosse possibile abbandonare un uomo sperduto del tempo, alla mercé del fato e di un destino ignoto, neanche si trattasse di un cane divenuto ormai vecchio e noioso, che si poteva lasciare sul ciglio di una via a sperare nella compassione altrui. Verso le dieci e mezza, Gordon si alzò, si stiracchiò rumorosamente sulla propria sedia, quindi si voltò verso la porta che dava sul salotto e, oltrepassando la moglie, senza neppure guardarla un momento, sentenziò: -Fra mezz'ora esatta portami una fetta di torta! E manda via questo idiota, altrimenti domani la signorina non sarà capace di alzare neanche un dito e dovrò continuare da solo a sistemare il recinto! E si allontanò grugnendo qualcosa, grattandosi la coscia destra con stizza, prima di sprofondare sul divano mezzo sgangherato, accendendo la TV con aria svogliata. Sam aveva un milione di domande racchiuse nel suo animo, ma trovare il coraggio per cominciare a parlare non era una cosa facile; Lizzie era rimasta seduta al suo posto, il tovagliolo diligentemente piegato accanto al piatto, giocherellava con una ciocca di capelli, con gli occhi ancora persi in una specie di sogno silenzioso, domandandosi, nel profondo, se lui avesse notato la scollatura un po' più generosa di quel suo vestitino nero a fiori rossi che le fasciava il corpo perfetto, evidenziandone la vita da vespa. Ad un tratto, come se si fossero letti nel pensiero, entrambi sollevarono lo sguardo, i loro occhi s'incrociarono e ciascuno lesse nell'altro la mole di domande che gli albergavano nell'anima; scoppiarono a ridere sottovoce, per paura che Gordon li potesse sentire e varcasse la soglia di quella cucina che, come una tela di ragno sottile, cercava di racchiudere e proteggere un'incorporea, comune speranza. -Da quanto sei qui in America?- Le chiese Sam prendendo l'iniziativa e si sollevò brevemente dalla propria sedia, per poterla posizionare di fronte a quella di lei, in modo che, tra i loro due corpi, non ci fossero che una cinquantina di centimetri di distanza. -Da due anni più o meno.Prima vivevo in Italia, sul mare, in un porto del Nord Est.-Lei si interruppe e lo fissò profondamente; interpretò correttamente l'espressione disegnata sul suo viso. Sapeva perfettamente che cosa desiderava sapere. -Gordon era un soldato.Faceva parte del contingente che era rimasto in Italia a proteggere la nostra città.La situazione politica era complicata e confusa, neppure noi sapevamo bene a che stato desiderare di appartenere. Lui non era così all'inizio; la prima volta che mi vide, al molo, si affrettò a comprarmi un mazzolino di fiori da una vecchietta che li vendeva, all'angolo della strada! Non capivo una parola di quello che mi diceva, ma mi sembrava.Insomma, io non avevo mai ricevuto un mazzo di fiori e.- Si bloccò di nuovo, le pupille dolorosamente affondate nel mare dei ricordi.- Oh Sam- gemette poi- ero soltanto una bambina! Avevo vent'anni, la guerra era finita da meno di dieci anni, l'Italia era in ginocchio ed il mio futuro non era certo roseo! Non avevo più sogni, non avevo neppure la speranza! Mia madre aveva altri quattro figli, io ero la più grande.Mio padre se n'era andato una mattina per non tornare più ed io non facevo altro che lavorare, come un cane, anzi peggio, senza un amico, senza nessuno che mi dicesse una parola gentile!- Scoppiò in un singhiozzo e lui le si fece più vicino.- Mi giurò che non avrei più faticato, che tutto sarebbe stato perfetto.Che cosa ne potevo sapere?!- Le lacrime cominciarono a scenderle copiose, lungo le guance, mentre tutto il suo corpo era scosso da dei singhiozzi rapidi e soffocati- Dicevano che l'America era il paese delle opportunità dicevano.Lui era così sicuro, così spavaldo, così.- Sam la strinse a sé, cercando di calmarla; appoggiò le sue labbra su quei capelli scuri, le accarezzò lentamente le spalle sperando di farla sentire al sicuro. Fu allora che notò un livido bluastro sulla sua spalla sinistra: i segni poco gentili di quattro dita che dovevano averla afferrata con violenza non più di tre o quattro giorni prima. Era stato quel bastardo del marito a lasciarle quel tremendo segno, quella specie di marchio che troneggiava sulla sua pelle liscia ed abbronzata, come a ricordare a chiunque che quella donna era di proprietà di Gordon Howard, era un oggetto che aveva conquistato, posseduto con l'imbroglio di un mazzetto di fiori di campo e che, divenuto inutile e senza fascino dopo aver dato il tesoro che per anni aveva contenuto, adesso non meritava più un briciolo di considerazione ma poteva solamente essere ancora sfruttato per la scarsa forza fisica o per le discrete capacità culinarie. Un mulo, ne era certo, una vecchia vacca, persino una gallina valevano di più ai suoi occhi di quella stupida, fragile creatura straniera che, per una sciocca voglia di gioventù, aveva portato con sé da una terra lontana e che ancora faticava ad adattarsi al suo egoismo senza fine: doveva nascondersi le labbra quando rideva perché la sua risata era volgare e sguaiata, così le aveva detto la mattina del matrimonio, doveva portare i capelli raccolti, perché quella sua fluente ed indomita massa bruna che si arricciava sul fondo era una specie di marchio del demonio e soltanto le puttane avrebbero osato portare quei fantastici capelli ribelli sciolti sulle spalle, come una specie di segno di sfida, una mina vagante per la sua autorità; e, cosa ancora più crudele, non poteva possedere dei pensieri, dei sogni che fossero interamente suoi, non era libera di decidere della sua vita, del suo corpo, libera neppure di prendersi un cagnolino che le facesse compagnia e che, con i suoi guaiti, le testimoniasse quanto fossero importanti il suo affetto e la sua presenza. -Vedrai che cambierà.-Le disse sottovoce, cercando di immettere un po' di fiducia nella propria voce. Lei sollevò la testa lentamente, la mano destra tremante tesa ad asciugarsi le lacrime che stazionavano ancora agli angoli dei suoi occhi. -Già.-Gli rispose tristemente, con il tono di chi accetta una bugia pietosa e finge di crederci solo per non far stare male chi l'ha pronunciata.- E' meglio che lavi questi piatti in fretta, o Gordon si arrabbierà sul serio.-E Sam la vide rabbrividire e toccarsi inconsciamente la spalla, là dove già una volta l'aveva ferita. -Aspetta, ti aiuto io.- Annunciò con tono docile ma fermo, mentre l'acqua scrosciava allegramente nel lavello e Lizzie si protendeva verso lo stretto tavolo della cucina, a tentoni, cercando di afferrare qualsiasi cosa fosse lavabile. Sam le porse il proprio piatto e lei, nel prenderlo, sfiorò leggermente le sue dita. Silenzio.Il silenzio di un sogno perfetto. Rimasero bloccati per un secondo, in quella strana posizione, lei di fronte al lavello e lui fermo lì, accanto al suo corpo, con la netta sensazione che la terra si fosse messa a girare all'impazzata e che solo il contatto con quelle dita sottili gli impedisse di franare pesantemente al suolo. -Maledizione, non hai lavato ancora niente! Si può sapere che cazzo stai aspettando? La fanfara? Portami quella fetta di torta subito, o stanotte te ne faccio pentire! E manda questo negro a letto! Il suo puzzo mi sta facendo venire da vomitare! Nell'attimo esatto in cui Gordon si era fatto brevemente sulla soglia, Sam aveva guidato con vigore la mano di Lizzie ed il piatto che stavano stringendo entrambi sul fondo del lavello, prima che il marito potesse accorgersi che le loro mani si stavano sfiorando. Una volta sott'acqua però, invece di lasciarsi, le loro dita s'intrecciarono e si strinsero con forza, come se fossero l'unica ancora di salvezza, l'unico appiglio capace di mantenerli in vita nell'immenso mare delle loro tribolazioni. Le loro mani si torcevano, si graffiavano, si toccavano e si accarezzavano ma senza mai staccarsi l'una dall'altra ed esprimevano, al riparo dell'acqua più scura, tutta la passione che i loro corpi percepivano, che non erano più in grado di controllare, che li stava inesorabilmente trascinando l'uno tra le braccia dell'altra. Sapevano che qualcosa sarebbe successo, veramente l'avevano intuito la prima volta che si erano sfiorati e che le loro anime si erano riconosciute a casa di Dick, quando Annalisa era arrivata dal nulla, come un angelo portatore di salvezza. Quando Gordon ritornò sul divano ed entrambi si voltarono a fissarsi negli occhi, timorosi ed al contempo sicuri ed ebbri di gioia, nello scoprire ciascuno sul volto dell'altro scolpito lo stesso sogno, il medesimo enorme desiderio, Lizzie ritirò la mano sorridendo malamente e, con un gesto automatico che voleva risultare naturale, l'asciugò, strofinandola vigorosamente sul grembiule che aveva allacciato pochi minuti prima dietro la schiena. -I piatti.Hai sentito Gordon, vero? Uff, che caldo infernale!- respirò a fatica sistemandosi rapidamente una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio. Ma Samuel Beckett non era più disposto a lasciar perdere: sentiva il desiderio forte dentro di lui lottare contro la propria morale, la voce di Al e quel suo" Devi stare lontano da quella donna." affievolirsi in favore del ruggito possente di una vita di sogni infranti e ancora intatti, di solitudine e di incomprensioni.Gordon non meritava la fortuna che aveva rubato così furbescamente, lui non la considerava neppure! Di certo non aveva mai fatto caso ai dettagli del suo viso, alle rughe che le comparivano attorno agli angoli della bocca quando sorrideva di nascosto, al luccichio dei suoi occhi quando la luce vi si rifletteva contro e si scindeva in un migliaio di cristalli magici, ai suoi seni perfetti, a quel modo strano che aveva di dondolarsi, ora su di un piede ed ora sull'altro quando era intenta ad ascoltare qualcosa di veramente importante. Ma lui.Aveva cominciato a contare i nei che riusciva ad intravedere tra le pieghe del vestito, ad immaginare come doveva essere percorrere quel suo corpo giovane con le proprie labbra, da vincitore, da conquistatore e, nel frattempo, essere conquistato, completamente sottomesso ai suoi desideri, non respirare se lei non lo desiderava, non dirle niente ma restare, immobile, a fissarla e ad osservare il giorno morire e trasformarsi in notte dentro quelle sue pupille oscure ma ricche di promesse. L'ondata di pensieri lo fece barcollare e gemere, mentre i muscoli del suo collo cominciavano ad irrigidirsi per la tensione, nello spasmodico tentativo di frenare il proprio desiderio. Lizzie aveva ripreso a lavare i piatti in silenzio, si era praticamente addossata al muretto di pietra che conteneva il lavandino e questo perché, nell'asciugarsi troppo rapidamente la mano che aveva tenuta immersa con lui, aveva sciolto il nodo già lento del grembiule da cucina e adesso era costretta a stringersi con le anche al lavello, per evitare che il grembiule le scivolasse a terra. Sam si avvicinò a lei, con calma prese entrambi i nastri e rifece un fiocco perfetto all'altezza della vita quindi lasciò che le proprie mani sostassero a lungo sui suoi fianchi e che l'accarezzassero leggermente, soltanto con la punta dell'indice e del medio. Lizzie s'immobilizzò, stretta tra il suo corpo ed il lavello: Sam riusciva a sentire il profumo della sua pelle, una specie di dolce gelsomino, misto agli odori della cena consumata da poco ed a percepire il tremito leggero che avevano le sue spalle, che trasudava dalla sua pelle a quella di lui. Le vedeva il petto sollevarsi in rapidi ed affannosi respiri, la vena giugulare contrarsi e tremolare serpeggiando azzurrina in quel deserto bruno che era l'incavo del suo collo, mentre le mani rimanevano, perfettamente immobili, contratte a pugno, sul fondo della vasca da cucina, ancora immerse nell'acqua tiepida. Sam la fece voltare così, molto lentamente, fino a che non si trovarono faccia a faccia; lei cercò debolmente di divincolarsi, movendo le mani ancora serrate nell'aria, in una specie di tentativo di difesa, ma lui non le permise di sfuggire dal suo petto e la spinse gentilmente contro la parete corta della cucina e lì, nello spazio rimasto libero tra il frigo ed un basso mobiletto, chiuse gli occhi e la baciò dolcemente. Prima un bacio timido, poi uno più imperioso e poi un altro ed un altro ancora: sembrava che le loro labbra non potessero staccarsi più, come poco prima avevano fatto le loro mani; Lizzie aveva il respiro affannoso e la mente annebbiata, nessun pensiero riusciva a superare la soglia di coscienza che non fosse una specie di spinta primordiale ad attaccarsi a quelle labbra per non lasciarle andare più. Per la prima volta, nel silenzio di quella fredda cucina che aveva imparato ad odiare da due lunghissimi, interminabili anni, si sentì la persona più felice sulla faccia della terra e si lasciò accarezzare a lungo da quelle mani che le sembrava di conoscere da una vita, fremendo di più ad ogni magico tocco. Sam la stava stringendo forte, tanto da poterle quasi fare male, pregando chiunque fosse mentalmente all'ascolto di non farlo svegliare, non adesso, di non spezzare quel collegamento con se stesso che aveva finalmente trovato in lei. -Cristo, Lizzie! Se non mi porti subito la trota giuro che vengo lì e ti prendo a schiaffi!- Gridò Gordon dal salotto ma, grazie al cielo, continuò a guardare la televisione senza immaginare perché la moglie ci mettesse tanto ad ubbidire, come faceva sempre. Sam la stringeva ancora, ma l'incantesimo, ormai, si era rotto: con il fastidioso grugnito di Gordon , la voce della coscienza rimbombò nelle sue orecchie e, veloce come un fulmine, il ricordo della propria missione gli brillò nella mente con l'intensità del sole a mezzogiorno. Tu non la devi toccare, tu non la devi desiderare, tu non la puoi avere, altrimenti morirà e sarà tutta colpa tua. Si staccò da lei, facendo uno sforzo su se stesso che gli costò una fitta al cuore che non avrebbe mai dimenticato; Lizzie spalancò gli occhi e lo fissò, senza comprendere che cosa fosse successo e si sentì, di nuovo, una stupida bambina caduta in trappola. -Sam.-Fece lei, cercando di avvicinarglisi, allungando una mano per poterlo toccare ancora, sentendo improvvisamente freddo, lontana dal suo abbraccio vigoroso ed appassionato. Ma il Dottor Beckett scosse la testa disperato: -Non posso.Io non posso farlo.Perdonami, te ne prego!- Poi spalancò la porta che dava sul retro del giardino ed uscì correndo attraverso la campagna; nell'uscire urtò violentemente contro il vaso di cristallo in cui Lizzie aveva sistemato i fiori che lui le aveva portato, che cadde a terra e finì in mille pezzi. Lentamente, soffocando i singhiozzi che sorgevano potenti dal profondo, Lizzie si accasciò sul pavimento, accanto ai cocci, reclinò la testa sulla propria spalla e pianse di un pianto disperato. Erano quasi le tre del mattino e Sam non era riuscito a prendere sonno: il proprio corpo, dopo essere stato per breve tempo a contatto con quello di lei, non ne voleva sapere di chetarsi e, ad ogni rapida strofinata con le ruvide lenzuola, gli faceva balenare dinnanzi agli occhi il profilo di Lizzie, la morbidezza della sua pelle, l'incavo del suo collo flessuoso, la vena azzurrina che le sue labbra avevano mordicchiato, mentre il suo cervello si faceva divorare e smembrare dal desiderio pulsante e da un rovente senso di colpa. A circa quarantacinque anni di distanza, nella solitudine del proprio alloggio, anche l'Ammiraglio Calavicci, seppure per altri motivi, si contorceva dalla rabbia tra le lenzuola dell'enorme letto matrimoniale, gemendo spasmodicamente nell'attesa di un nuovo giorno.