Third Chapter Giovedì, 25 Agosto 1955 Fattoria Howard Ore 16:33 Faceva davvero caldo quel pomeriggio d'estate; Sam se n'era accorto da un pezzo, ma Gordon non gli aveva concesso neppure una tregua di cinque minuti dacché avevano cominciato a riparare il recinto in legno di fronte alla stalla delle vacche. Sam aveva la fronte rovente, le braccia indolenzite, le gambe appesantite e le spalle doloranti mentre rivoli copiosi di sudore continuavano a scendergli senza tregua lungo la spina dorsale e dall'incavo delle ascelle: riusciva a sentirli scorrere attraverso il tessuto ormai fradicio della canottiera bianca ed impolverata e dei jeans pesanti, riunirsi all'altezza della vita per poi proseguire lungo le cosce e poi giù, quasi fino ai piedi, senza arrestarsi mai; per non parlare delle grosse gocce di sudore che gl'imperlavano i capelli, appiccicandoglieli alla fronte come le perle vischiose di una corona importante e poi scendevano seguendo le pieghe del viso fino alle sopracciglia folte che gli proteggevano gli occhi. Sollevò per l'ennesima volta la grossa zappa, con evidente sforzo ed assestò un colpo al terreno duro e riarso dal sole. A pochi passi da lui, Gordon Howard emise lo stesso movimento ma con una forza ed una determinazione che lo lasciarono senza parole. Doveva essere stato belloccio, fino a qualche anno fa: il viso tondo e florido, due occhi piccoli ed azzurri come il cielo d'estate, un naso un po' all'insù, come quello di un maiale e due mani tozze e sgraziate; il corpo però era straordinario, il fisico possente e massiccio. Sam era certo che Gordon sarebbe riuscito ad andare avanti così, senza bere un sorso d'acqua, senza arrestarsi un momento, fino a che l'ultimo palo del nuovo recinto non fosse stato piantato perfettamente eretto ed allineato come tutti gli altri. Il ventre però cominciava a sformarsi e ad arrotondarsi, il fegato doveva essere già in condizioni piuttosto critiche per un uomo come quello, la cui età apparente si aggirava intorno ai 34, 38 anni al massimo. I muscoli non apparivano più molto tonici e la pelle del viso cominciava a cedere in diversi punti, soprattutto attorno agli occhi, laddove un paio di occhiaie bluastre testimoniavano un bisogno estremo di qualche ora di sonno tranquillo. Ma Gordon era una creatura notturna, l'aveva imparato: se non era a lavorare o a spaccarsi la schiena era sicuramente al bistrot di Lou ad ubriacarsi, a cercare la rissa, a bere fiumi di birra che lo facevano tornare a casa a tarda notte, in condizioni davvero pietose. Si domandò che cosa potesse spingerlo a disertare quasi ogni sera il tetto coniugale, a lasciare la sua giovane e deliziosa moglie da sola per delle ore intere, a passare la notte in compagnia di alcuni ubriaconi senza cervello; se soltanto fosse saltato in Gordon. Approfittò vedendo che Howard gli dava le spalle per fermarsi un secondo: si strappò di dosso quella fastidiosa ed appiccicosa canottiera, poi si deterse la fronte con una mano e si voltò, di nuovo, alla propria sinistra, cercando di adattare le proprie pupille alla luce nel minor tempo possibile. Lei era laggiù. Riusciva a percepirla distintamente, poiché distava da lui solo sei o sette metri: aveva ai piedi il grosso cesto di vimini della biancheria pulita e stava risistemando con calma le lenzuola sui fili del bucato. Il vento giocava con il suo vestito, quasi fosse felice di accarezzarle maliziosamente il corpo con le sue raffiche fresche e piacevoli. Sam socchiuse gli occhi ed inspirò , immaginando di essere lì, accanto a lei, di giocare con Lizzie a nascondino dietro a quelle lenzuola così chiare, come faceva con Tom e Katie quando erano ancora tutti e tre dei ragazzi e la guerra col suo orribile carico di morte e lacrime era lontana e suo padre era ancora vivo e chiacchierava a bassa voce con sua madre, che preparava un fantastico pranzo. Quelli sì che erano stati giorni di vita, giorni in cui la gioia, come una sottile coperta, lo aveva avvolto dalla testa ai piedi senza un perché. Ma allora Sam non sapeva che presto, molto presto, avrebbe dovuto pagare con l'esilio e la solitudine per ogni attimo di felicità che aveva strappato al destino. E adesso, eccolo lì, a zappare un terreno che non gli spettava, a lavorare sodo per una terra che non era sua. Ed a desiderare una donna che non avrebbe potuto appartenergli mai. Un colpo di vento più forte degli altri le rovesciò il cesto e, una parte della biancheria, si rovesciò sul terreno di fronte ai suoi piedi: Annalisa emise un gridolino, quindi, Sam vide le sue gambe flessuose ed abbronzate fondersi con il candore del bucato e giocare con esso per qualche secondo mentre le sue braccia esperte riponevano la biancheria nel cestone rapidamente e la sua voce intonava un'allegra canzonetta infantile. Le parole erano strane ed incomprensibili, probabilmente italiane, ma il suono così dolce ed ammaliante di quella sua voce aggraziata incatenò il suo sguardo per un lungo minuto in quella direzione e bloccò il suo corpo in una specie di muto sogno. - Hei, non ti pago per startene impalato! La voce rude di Gordon ancora una volta spezzò l'incantesimo di quella sirena. -No.Nossignore, io. -E non ti pago nemmeno per stare a chiacchierare. -Ovviamente no, ma vede. -O per fissare l'orizzonte e sognare ad occhi aperti. Sam rimase muto, l'ennesima scusa gli morì in gola; lui non stava affatto fissando l'orizzonte! Si rese conto che, per Gordon, la moglie non aveva alcuna importanza, non era niente ai suoi occhi, non si rendeva a tal punto conto della sua presenza che non riusciva neppure a concepire che un altro uomo potesse rimanere immobile ad ammirarla estasiato. Lei non era altro che una specie di robot, di fac totum, probabilmente meno importante delle vacche che dormivano beate nella stalla e che godevano delle attenzioni del padrone almeno una volta al giorno. Sam sentì un fremito di rabbia percorrergli la schiena ed assestò, per tutta risposta, un violento colpo di zappa al terreno accanto a lui. -Negri.-Fu l'unico commento di Gordon; poi gli ridiede le spalle e ricominciò il proprio lavoro. Trascorsero così, in un silenzio perfetto ritmato dal loro lavoro e dai suoi sospiri quasi tre quarti d'ora, dopo i quali Lizzie terminò di sistemare il bucato e venne verso di loro, con un grosso secchio d'acqua in mano. Ansimava sotto quel peso, con i muscoli del collo e delle braccia tesi per lo sforzo, mentre due grosse gocce di sudore le scivolavano dalla fronte giù, lungo la gola, fino nell'ampia scollatura del vestito estivo. -Lascia, faccio io.- Sam le sia avvicinò ed il profumo della biancheria, del sapone, di qualcosa di fresco, giovane e pulito lo investì e lo fece barcollare. Lei gli fece un rapido cenno di diniego, ma lui le prese il cesto ed il secchio e li posò attentamente a terra, quindi afferrò una scodella, la riempì d'acqua e la porse a Gordon che ne bevve avidamente. -Come va?- Gli chiese sottovoce Lizzie, torcendosi nervosamente le mani. -Faticoso.Ma me la sto cavando bene. La fissò in quei due occhi neri, che avevano il colore della terra che aveva imparato ad amare, che suo padre aveva coltivato, che suo nonno aveva acquistato con orgoglio e l'ondata di sentimenti quasi lo soffocò. -Tieni!- Gordon non attese che lui allungasse il braccio e la scodella cadde con un rumore secco tra la polvere. Lizzie pregò che lui non reagisse. Sam interpretò la muta richiesta nei suoi occhi: strinse le mani a pugno, fece un profondo respiro mentre tutto il proprio essere gli urlava di prendere a calci quel bastardo razzista, di picchiarlo forte su quel suo muso arrogante e di insegnargli a suon di pugni l'uguaglianza e riuscì a controllarsi. Sciacquò la tazza con noncuranza, la riempì di nuovo e bevve lentamente, continuando a fissarla intensamente. Lei abbassò la testa. Ma non si mosse di un passo. - Cos'è, giochi a fare la bella statuina, donna? Lizzie si riscosse e farfugliò: -No, no Gordon. Stavo solo aspettando che Sam.Che Dick finisse di bere. Lui scosse la testa, quindi assestò una manata al braccio di Sam; la tazza rotolò qualche metro più in là. -Adesso il signorino ha finito. Forza, rimettiti al lavoro! L'ora di cena è ancora lontana. Sam si voltò di scatto, la mascella tesa ed il pugno destro pronto a colpire con forza: aveva tollerato anche troppo. -Dick, stasera vieni a cena da noi, te lo ricordi, vero?- Annalisa gli appoggiò con fermezza la mano sinistra sulla spalla e, a quel contatto, il pugno di Sam si allentò un poco. -Ti prego.-Gli sussurrò, mentre il vento le portava via le parole di bocca, lasciando le sue labbra un po' screpolate a muoversi rapidamente, senza emettere alcun suono. Lui allungò una mano e le asciugò una goccia di sudore, all'altezza della fossetta giugulare. Non farmi cadere in tentazione. -Io.Non so se è una buona idea. -Che c'è, fai anche il sostenuto adesso? Non solo ti permetto di mangiare al mio tavolo il mio cibo.- Gordon continuava a vibrare grossi colpi al terreno, dandogli le spalle, cercando di dimostrargli tutto il suo disprezzo, facendogli capire che con un animale come lui non valeva neppure la pena voltarsi per guardarlo in faccia. Lontano, un tuono rombò cupo e suonò quasi irreale in quell'atmosfera polverosa ed accaldata. Domani si scatenerà una tempesta. -D'accordo, ci sarò. Un altro tuono; ed il suo proposito si rafforzò. -A che ora? -Alle nove.- Lei sembrava restia adesso, l'orecchio rivolto in direzione di quel tuono lontano- prima fa ancora caldo. Lui annuì e riafferrò la propria zappa. -Allora alle nove!- E ricominciò a lavorare mentre lei si allontanava di corsa. Il colpo che assestò al terreno fu parecchio più forte degli altri. -------------------------------------------------------------------------------- Giovedì, 25 Agosto 1955 Casa di Richard Wright Ore 20:42 -Sam.Non credo che ci troverai uno smoking lì dentro. Al fissò con occhio critico le camicie che Dick teneva ammassate l'una sull'altra in una specie di scatola, accanto al letto e poi si voltò con fare sarcastico verso l'amico .- Te l'avevo detto, no? Oh, ci siamo anche rasati. -Piantala Al!- Sam si specchiò e controllò i rapidi movimenti delle braccia scure di Dick che s'infilavano una camicia a quadri, la meno spiegazzata che fosse riuscito a trovare in quella specie di scatola che fungeva da armadio. -Sam. -Non ho bisogno che tu mi ricordi come mi chiamo. -Oh, no, forse no; però hai di certo bisogno che qualcuno ti rammenti qual è la tua missione qui.Se Gordon si accorge che vuoi giocare al bravo dottore con la sua adorabile mogliettina. -Non voglio giocare al dottore, Al! Possibile che tu non riesca a pensare ad altro? -Scusa.- L'ammiraglio Calavicci si spostò di qualche passo, per poter fissare meglio l'amico- Ma mi sembra che qui siamo in due a pensarla allo stesso modo. Sam sbuffò evitando di raccogliere la provocazione, quindi si allacciò i Jeans e si passò una mano tra i capelli. Un pensiero, rapido come una macchina lanciata a cento all'ora gli attraversò la mente. -Al.E' vero che ho i capelli bianchi? -Oh mamma, Sam!- Al lo fissò incredulo in quei suoi occhi per un lungo minuto, mentre qualcosa cominciava a scricchiolare dentro di lui ed il brontolio sordo del proprio stomaco lo avvisava che era venuto il momento di cominciare a preoccuparsi sul serio. -Sam, che cosa le hai detto? -Niente. -Niente?! E come sai che hai i capelli bianchi? -Lei mi vede, Al; hai idea di quanto questo sia straordinario?! -Mmmh, secondo Ziggy non è poi così straordinario.-Mentì, cercando di assumere la migliore faccia da poker che possedesse. -Per me lo è! Al si domandò a che cosa esattamente si stesse riferendo: al fatto che qualcuno lo potesse percepire così com'era fatto realmente, o piuttosto al fatto che quel qualcuno fosse proprio Annalisa Howard, due gambe agili come quelle di una gazzella, ciglia lunghe che gettavano ombre misteriose su due occhi enormi ed invitanti. Al pensiero di quella donna Al avvertì il solito, piacevole prurito che provava al cospetto di una qualsiasi bella donna, mentre un sorrisetto malizioso cominciava a diffonderglisi sul volto, veloce, com'erano rapidi i suoi pensieri quando si trattava di rievocare dolci ricordi. Si voltò, gli occhi piccoli già pieni e quasi traboccanti dell'ennesima storia piccante, in cerca del viso dell'amico; ma il sorriso, così com'era venuto, rapidamente si spense. Sam era in piedi, di fronte all'acquaio della cucina e stava armeggiando con dei fiori gialli di campo che doveva aver raccolto rapidamente, mentre tornava a casa, dopo una massacrante giornata di lavoro sotto il sole; goffo, come un bambino che voglia fare una sorpresa alla propria madre, lo osservò armeggiare con i lunghi steli dei fiori, schizzarsi di acqua sporca la camicia pulita, sorridere dell'inconveniente con lo sguardo già perso, fluttuante al di là dell'ampia finestra, verso Ovest, verso la casa padronale, ad accarezzare in sogno la pelle di quella strana ragazza italiana dagli occhi tristi e dalla voce angelica. -Oh, Sam.- Un sospiro disperato, mentre gli leggeva nello sguardo il desiderio, lo paragonava mentalmente al proprio sentire e si accorgeva, con una nota d'invidia ed una di spavento, che c'era sotto qualcosa di più, che quella dell'amico non era solo la sana ammirazione per il corpo perfetto di una sirena ammaliatrice, ma era un sentimento devastante che stava covando nel più profondo del suo cuore e che, una volta liberato, non si sarebbe arrestato, se non a patto di un tremendo sforzo. Soltanto Beth, la sua Beth, la sua prima adorata moglie era stata capace di farlo sentire così vivo ed allo stesso tempo perennemente sospeso sull'orlo di un precipizio: quando lei lo guardava con quei suoi enormi occhi scuri, Al Calavicci si sentiva quasi soffocare dal sentimento ed una pazza voglia di prenderla in braccio, di fare l'amore, di escludere il resto del mondo tenendola stretta a sé lo divorava senza pietà. Era stata la sua immagine a tenerlo in vita mentre giaceva sulla dura terra nemica, in una prigione Vietnamita, ed ancora il pensiero di lei lo aveva aiutato a tenere insieme ciò che rimaneva della sua anima, durante il lungo viaggio verso casa e quando l'aveva perduta.Il cuore gli si era spezzato in due, ma non era successo così, di colpo: il dolore era venuto lentamente, goccia dopo goccia, l'aveva assalito come una belva feroce assalta la propria preda, come un animale sadico si era divertito con la sua mente, rendendolo quasi pazzo, con i suoi sogni, facendogli credere di dormirle ancora accanto, di poterle accarezzare di nuovo i corti capelli scuri se soltanto avesse allungato un po' il braccio, ancora un po', solo un altro centimetro.Ed ecco che il sogno diventava l'incubo di una camera d'albergo, di una giornata vuota di sole, di una notte tra le braccia di una sconosciuta cui spesso avrebbe voluto chiedere soltanto di essere tenuto stretto. E adesso rivedeva in Sam, in quei suoi gesti così impacciati, in quel suo voler essere almeno presentabile, in quel suo sguardo nuovo ed un po' trasognato, una parte di se stesso che aveva creduto di aver seppellito per sempre. Sapeva com'era fatto Sam, lo conosceva come le proprie tasche: per lui non si trattava di un bisogno fisico, non era soltanto una notte di sano sesso quella che stava cercando; il suo cuore stava cominciando a desiderare, la sua anima iniziava già a librarsi in volo in cerca di qualcuno che potesse condividere il suo sogno. E poi del resto, come avrebbe potuto biasimarlo? Provò ad immaginare se stesso nei panni dell'amico; non era una cosa difficile: già una volta si erano scambiati i ruoli ed Al era rimasto intrappolato nel passato, mentre a Sam era stato concesso di poter tornare, seppure per un breve periodo, a casa. Ricordò l'angoscia di quel periodo, la netta sensazione che il cervello gli fosse scoppiato e avesse seminato gran parte di se stesso per tutto lo spazio-tempo. Non era facile, né piacevole non riuscire a ricordare neppure il proprio cognome, salutare della gente senza avere la più pallida idea di chi diavolo fossero tutte quelle facce nuove, non essere più capaci neanche di respirare, senza domandarsi se quella fosse la cosa giusta da fare. Era una specie di terrore senza volto, un'ansia che, una volta tornato a casa, l'aveva lasciato profondamente prostrato per parecchi giorni. Ma Al aveva una casa, una macchina, una bella donna, un lavoro ed un'identità costruita in anni di difficoltà e problemi, a cui si era aggrappato con le unghie e che avrebbe difeso fino alla morte: era stato Sam a dargliela, ad aiutarlo a definirla quando, di fronte ad un distributore automatico di bibite che non ne voleva sapere di funzionare, aveva saputo guardare oltre quell'uomo semi alcolizzato che stava prendendo a pugni la dannata macchina, a vedere più in là di tutti quanti, a fidarsi di un uomo fallito e piegato dalla sorte e gli aveva offerto una seconda possibilità. -Lavorare per un fisico quantistico plurilaureato? Ma chi me lo fa fare?- Gli aveva chiesto, la voce impastata dalla recente sbronza. -Prendila come una sfida- aveva risposto Sam, per nulla spaventato da quel tono sgarbato e poi aveva fatto uscire la lattina senza calci o pugni, semplicemente premendo con una di quelle sue dita aggraziate il bottone giusto- se non ti troverai bene potrai sempre andartene.O hai paura? Albert Calavicci aveva avuto paura, una paura folle di essere finito per sempre: finito con Beth, finito con il lavoro, finito come uomo e senza più un briciolo di dignità; ma aveva mentito e, alzando le spalle con noncuranza, aveva risposto di non temere niente e nessuno e, senza volerlo ammettere con se stesso, si era aggrappato con tutte le sue forze a quella nuova e strana mano tesa; ed era ricominciata una vita, una carriera, un'amicizia e un'avventura meravigliosa. Il collegamento manuale con il suo tempo cominciò a squittire mentre Sam si avvicinava con cautela alla porta d'ingresso; Al sapeva che cosa voleva dire quel suono: probabilmente Ziggy aveva fatto una sorta di previsione personale, calcolando farraginosamente le probabilità che Annalisa Howard commettesse adulterio se il Dottor Beckett fosse andato a cena a casa sua quella sera. Chiuse la tasca con un sospiro, implorando mentalmente Ziggy di smettere; oh, certamente, avrebbe potuto fermarlo e sapeva perfettamente quali tasti toccare per riuscire nell'intento. Sarebbe bastato far leva sul suo alto senso morale, sulla sua purezza di cuore, ricordargli ancora una volta la sua missione.Ma non era certo che quella fosse la cosa giusta da fare. Non avrebbe potuto sopportare il suo sguardo, rimanere lì a spiare quel sogno che aveva già messo le ali spezzarsi e morire soffocato da stupide regole senza alcuna possibilità di appello. Sam meritava di essere amato, perché aveva deciso di dedicare la propria vita al mondo, perché la sua sincerità e la sua bontà erano state tali da riuscire a convincere un uomo burbero e senza niente da perdere come lui a rimettere in gioco la propria vita, a credere nel suo sogno e ad assumersi sulle spalle quella specie di pazzo esperimento, facendo della salvezza dell'umanità una specie di crociata personale. Forse Dio, o il tempo, o qualunque cosa lo stesse facendo saltare avanti e indietro aveva deciso di concedergli una pausa, un breve e dolce intermezzo per ritemprarsi in vista di altre e ben più dure fatiche; forse Lizzie non si trovava lì per caso, forse gli era stata davvero destinata, forse il fatto che una creatura speciale come quella si trovasse in un posto simile non era semplicemente una stupida coincidenza: Annalisa Howard era lì per Samuel Beckett, per questo riusciva a vederlo, lo aveva sentito diverso ancora prima di toccarlo, aveva mandato Ziggy completamente fuori fase, facendole saltare ogni tipo di previsione. Il collegamento continuava a lamentarsi, tanto che Sam si voltò sulla soglia e fece un mezzo passo indietro, in direzione dell'amico. -Al, qualcosa non va? Lui gli sorrise dolcemente, negli occhi aveva lo sguardo fiducioso di un saggio che conosce perfettamente ogni piega del tempo. - Va' da lei, Sam. Lui chiuse la porta velocemente e cominciò a correre, scendendo rapidamente la collinetta che lo separava dallo spiazzo e dalla casa degli Howard. L'Ammiraglio Calavicci rimase per qualche secondo fermo a spiare quella sua corsa dinoccolata e leggera allo stesso tempo, lo vide fare un balzo pericoloso, nel tentativo di evitare di calpestare un fiore. Sam Beckett era fatto così: avrebbe dato la propria vita per salvare qualsiasi cosa. Te lo sei meritato, ragazzo. Poi aprì la porta della camera immagini, sicuro di aver fatto la cosa giusta.