CHAPTER TWO Giovedì, 25 Agosto 1955 Casa di Richard Wright Ore 01:22 Lei riesce a vedermi.Lei vede proprio me. Per quanto fossero passate ormai diverse ore dall'ultimo contatto che il Dottor Beckett aveva avuto con Annalisa Howard, quelle quattro parole continuavano a frullargli nel cervello, a solleticargli la mente, come le ali setose di una falena notturna. Doveva essere passata da poco l'una, ne era certo perché aveva sentito il pigro rintocco della campana della piccola chiesa del paese, portato dalle ali della notte fino alla finestra aperta della camera da letto di Dick; eppure Sam non ne voleva proprio sapere di prendere sonno. La sua mente razionale ci aveva provato, lo aveva quasi supplicato, tentando di ricordargli quanto pesante potesse essere il lavoro in una fattoria, ma niente.Per quanto avesse ricevuto un colpo non da poco quel pomeriggio, per quanto gli occhi gli bruciassero per la polvere sottile che vi era entrata, per quanto il materasso fosse abbastanza confortevole e la notte di campagna silenziosa e fresca, il suo emisfero destro, quello della creatività, quello delle emozioni, quello che diversi anni prima lo aveva pungolato affinché portasse a termine il Quantum Leap, aveva cominciato a bisbigliare ed ora, nell'oscurità di quella stanza, era quasi impossibile non starlo ad ascoltare. Sam scostò con un gesto deciso le lenzuola candide e si alzò di scatto, poi accese la luce e, per l'ennesima volta dacché i piedi di Lizzie e lo sciame inquieto dei suoi pensieri avevano varcato la soglia, si posizionò davanti allo specchio. Richard aveva la pelle molto scura, liscia, con un principio di barba che cominciava ad affiorare sulle guance ma che ancora non aveva la maturità per ricoprirgli il viso, i capelli ricci e nerissimi, quasi fossero stati intagliati nell'ebano e due occhi piccoli ed appuntiti, come quelli del suo amico olografico. Era un ragazzo giovane, dallo sguardo vispo ed intelligente, che aveva deciso di lottare contro le barriere ed i paraocchi di una società vecchia ma che aveva paura di cambiare e si era iscritto alla facoltà di medicina. Non potè non sentirsi solidale ed empatico con lui e sorrise alla propria immagine riflessa, accarezzandosi lentamente il mento, socchiudendo gli occhi. -Chi sei tu?- La voce di Liz, incuriosita forse, più che spaventata, gli rimbombò nelle orecchie, mentre la sua memoria fotografica cominciava a fargli rivivere, ancora una volta, la singolarità di quel loro primo contatto. Sulle prime Sam non aveva capito, non aveva interpretato lo stupore in quei suoi occhi enormi ed era rimasto a fissarla incantato, domandandosi che cosa fosse stata quella specie di scarica elettrica, quel brivido che lo aveva attraversato da parte a parte quando lei gli aveva accarezzato con un dito il segno lasciatogli dalla frusta del marito. -Chi.Sono io?- Le aveva fatto eco dopo un attimo, mentre cercava una risposta più che plausibile. -Come hai fatto? -A fare cosa? -A diventare bianco. Soltanto allora Sam aveva capito e l'aveva afferrata per entrambe le braccia, costringendola ad avvicinarglisi di più ed a fissarlo dritto negli occhi. -Che cosa vedi? Santo cielo, Lizzie, che cosa vedi? Annalisa aveva allungato silenziosamente la propria mano destra, molto lentamente, quasi stesse sognando e temesse che, una volta toccata, l'immagine sarebbe svanita così come le si era presentata dinnanzi e lo aveva sfiorato, con delicatezza, sulla guancia; quindi aveva allungato anche la sinistra e stando così, in piedi di fronte a lui, aveva dischiuso le labbra, cercando di dire qualcosa, ma lo stupore l'aveva evidentemente bloccata. -Mi chiamo Sam, Beckett, Samuel Beckett e ti giuro che non ti farò alcun male.Ma adesso, ti prego, dimmi che cosa vedi. -Hai i capelli castani.-Aveva iniziato lei, mentre la voce andava rafforzandosi- con un buffo ciuffetto bianco proprio qui, sulla fronte- Ed aveva preso dolcemente fra le proprie dita i suoi capelli. -Ho i capelli bianchi?!- Quella prima rivelazione lo aveva lasciato un po' di sasso ed anche ora, per un secondo, bloccò quella visione in un angolo della propria mente e riaprì gli occhi fissandosi allo specchio, in cerca del segno indelebile che il passare del tempo stava scolpendo sul suo corpo, come a ricordargli che sarebbe invecchiato comunque, e poi anche morto, anche se adesso stava vivendo in un perenne presente la vita di qualcun altro.Ma i capelli crespi di Dick ed i suoi occhi furbi, lievemente straniti furono l'unica cosa che gli riuscì di vedere. Cercò di rilassarsi, appoggiandosi con le braccia al piccolo lavandino che aveva in camera; il contatto con la fredda superficie di marmo gli permise di ricominciare a ricordare. -Da quanto tempo non ti guardi allo specchio?- Gli aveva chiesto Lizzie, le sue piccole mani stazionavano ancora sul suo capo. Da troppo. -Continua, te ne prego.-La invitò. -Hai un naso.Importante. -Importante?! -Sì.-E le sue dita, come il frullo d'ala di un pettirosso avevano volato anche lì, per poi posarsi rapide sul suo mento .- Non avevo mai visto degli occhi così. -Che c'è che non va in loro? -Niente, non volevo dire questo.E' solo che.Sono calmi, in superficie e razionali, ma possiedono delle ombre e degli abissi, in cui ho paura di guardare. E si allontanò di un paio di passi, rapida, troppo rapida, andando a sbattere con la schiena contro la parete della stretta cucina. L'incanto s'infranse ed il gelo piombò tra di loro. -Non c'è nient'altro?- Implorò Sam, avido di sapere quanto ancora fosse rimasto in lui, del Samuel Beckett che credeva ancora di essere. -Beh, sei un uomo.- E lei aveva alzato di corsa lo sguardo con cui aveva ispezionato il suo corpo, le spalle larghe e le braccia muscolose su cui i suoi occhi avevano stazionato per un secondo di più, un secondo di troppo, e poi lo aveva riabbassato, mentre un subitaneo rossore aveva cominciato a spandersi sulle sue guance. -Allora, da dove vieni? -Se te lo dico, non mi crederesti. -Ho visto con i miei occhi un ragazzo che conosco da ormai sei settimane cambiare il colore della propria pelle, lo sguardo, la statura e pensi che non ti crederò? Se anche mi dicessi di essere il Redentore non batterei ciglio! -No, temo di non essere così importante.Sono un fisico quantistico e vengo dal futuro. Avanti, scoppia a ridere, prendimi in giro, o voltati su quelle tue due magnifiche gambe e sparisci urlando terrorizzata, ma ti prego, smettila di guardarmi così, come se potessi leggermi dentro, come se conoscessi i miei pensieri e comprendessi la mia disperazione.Ho un lavoro da fare. Ma Lizzie si era accoccolata sul pavimento ai suoi piedi e lo aveva ascoltato, senza muovere un muscolo, senza spostare l'attenzione dai suoi occhi verdi e, quando lui smise di parlare, continuò a guardarlo ancora per un po', come per accertarsi che stesse dicendo la verità. E poi gliel'aveva chiesto. -Perché io posso vederti? Già, Dottor Beckett, perché? -Io non lo so.-Le aveva risposto sospirando- ho perso il contatto con Al, il mio amico olografico, appena tu mi hai toccato e finché lui non tornerà qui per darmi delle risposte.Dovrò cercare di dare nell'occhio il meno possibile e tentare di portare a termine la mia missione. Ed improvvisamente, una visione lo colpì: la visione nitida di loro due, abbracciati stretti sul letto di Dick, del viso di lei in lacrime, del suo corpo tiepido che si accartocciava su di lui mentre l'odore della polvere da sparo si riversava nella stanza ed il rimbombo di un colpo di fucile gli penetrava nelle orecchie assordandolo tutto. Tu NON morirai. Si era sentito mancare l'aria e si era dovuto alzare in piedi per cercare di calmarsi un po'. -Questo è il pomeriggio libero di Dick.- Gli disse Lizzie, i suoi occhi sgranati come due buchi neri lo spiavano guardinghi- di solito lui lo passa qui dentro a studiare, poi va a mangiare qualcosa al bistrot di Lou ed alle sei del mattino è già alzato per cominciare il lavoro. -Tranquilla, sono cresciuto in una fattoria.So che cosa fare e riuscirò a non fare insospettire Gordon.Tuo marito.-si corresse. -Non è che lui sia molto brillante.-Lei si pentì immediatamente di quello che le era sfuggito così avventatamente e si coprì le labbra di corsa, ma i suoi occhi trasudavano di ilarità, come quelli di un bambino che scarti i regali sotto l'albero di Natale. -Maledizione, dove diavolo sei finita, piccola stupida? La voce roca, semi impastata di Gordon Howard piombò su di loro dalle finestre aperte della cucina e distrusse quella specie di silenzio complice che si era andato formando, riportando le loro menti alla dura realtà. -Oh Dio, Gordon!!! Devo andare. Si strinse maggiormente la coda di cavallo, poi si rassettò rapidamente il vestito e gli tese la mano, che lui afferrò subito. L'odore dolce del suo corpo gli riempì le narici. -Piacere di averti conosciuto. -Aspetta un secondo, Lizzie! Ma lei era già scomparsa oltre la porta e lui rimase a spiarla, da dietro la pesante tenda verde, sgambettare come un'agile gazzella giù dalla collina ed affrettarsi verso il centro del possedimento, da dove l'uomo la stava chiamando e, probabilmente, ricoprendo di insulti per il ritardo. Sam deglutì lentamente e riaprì gli occhi, sporgendosi dalla finestra per respirare un po' dell'aria frizzantina della campagna. Aveva avvertito un tremito nella mano che aveva stretto. E per una frazione di secondo il suo cuore aveva improvvisamente cambiato battito. Ci sarebbe voluto Al in quel momento: lui l'avrebbe di certo allietato con qualche storiella piccante sul proprio passato, costringendolo a prestargli attenzione ed a risvegliare la sua morale assopita. Strano, tutto il resto del suo corpo, funzioni cognitive comprese, era invece perfettamente sveglio. Avrebbe pagato oro per avere qualcuno con cui dividere quella lunga notte, qualcuno rumoroso, con la cui voce avrebbe potuto arrestare lo scorrere senza posa dei propri pensieri. E dei propri desideri. Perché è riuscita a vedermi? In fin dei conti non doveva essere un evento poi così speciale.La stessa conformazione cerebrale, lo stesso pattern di onde neurali. Perché non aveva visto Al, ma ne aveva solo percepito appena la presenza? E, cosa ancora più importante, perché questo continuava a tormentarlo? Sam scosse la testa, continuando ad inspirare profondamente. Per la prima volta, dacché egli ne avesse avuto memoria, finalmente un altro essere umano era stato in grado di vedere lui, Sam Beckett, di toccare il suo corpo, di parlare direttamente alla sua anima, di valicare la barriera della finzione, di saltare con un agile salto il muro di solitudine che gli si era cementificato attorno al cuore ed improvvisamente lo aveva fatto di nuovo sentire vivo. Perché era così che si sentiva in quel momento: vivo, presente, quasi partecipe finalmente di quell'epoca, di quello spazio, di quella fattoria. E partecipe della vita di Lizzie. Ruotò gli occhi istintivamente verso la casa padronale più in giù, oltre la staccionata, oltre il capanno in cui gli animali riposavano in pace: laggiù, in una di quelle stanze buie ed apparentemente tranquille, Gordon Howard stava probabilmente russando sonoramente senza rendersi conto di condividere lo stesso letto con una creatura dalla natura quasi sicuramente ultraterrena. Lo stomaco gli si rivoltò e Sam ebbe la netta sensazione che il cuore gli salisse rapidamente fino in gola; non era rabbia, no. Era invidia. Chiuse le tende con uno sforzo e si raggomitolò nel vecchio letto scricchiolante. "Il cuore vuole ciò che il cuore desidera." Gli aveva detto una volta sua madre. Ma perché il suo cuore cominciava ardentemente a desiderare ciò cha dal fato gli era stato proibito per sempre? Se vuoi saltare. Ma la frase che si ripeteva spesso, l'unico refrain capace di tener incollati i frammenti del proprio sé, stavolta non ebbe effetto. Se vuoi che lei viva. Tu le devi stare lontano mille miglia. Ma così una grossa parte di lui, cominciava a sentirlo con un'assoluta certezza, sarebbe morta per sempre.