Chapter Six


Casa di Richard Wright
Venerdì, 26 Agosto 1955
Ore21:23

Samuel Beckett si svegliò con una smorfia di dolore dipinta 
sul viso: ci mise un po' per rendersi totalmente conto di chi 
fosse e cosa stesse succedendo in quel preciso momento. Il 
sole era tramontato da un pezzo ad Ovest oltre il tetto della 
casa degli Howard, andando lentamente a morire in silenzio e 
disegnando ombre curiose sui suppellettili del comodino.
Si passò lentamente la mano sinistra sul viso su cui 
cominciava a crescere un principio di ispida barba, quindi 
tentò, con cautela, di sollevare la testa per guardare davanti 
a sé. Soltanto allora si ricordò di quello che era capitato 
durante il pomeriggio, di come quel bastardo di Gordon aveva 
selvaggiamente picchiato Lizzie, del sangue che le aveva 
macchiato il corpetto dell'abito bianco, di come quel sangue 
adesso si trovasse anche sulla propria camicia. Si rese conto 
di essersi appisolato così, seduto sul pavimento, la guancia 
destra appoggiata al materasso del proprio letto, su cui Lizzie 
giaceva profondamente addormentata.
Cercò di alzarsi in piedi senza fare troppo rumore, 
mordendosi la lingua per non urlare quando, tentando 
inutilmente di stiracchiarsi, si rese conto di avere una buona 
quantità di muscoli indolenziti e di nervi accavallati, a partire 
dal collo per arrivare giù, fino a quelli della coscia.
-Oh.Mamma.Ahi.- Si sollevò molto lentamente da terra, 
la mano destra tesa a massaggiare la propria schiena nuda 
mentre gli occhi scrutavano nella penombra della stanza, in 
cerca di una fonte di luce qualsiasi con cui poter analizzare il 
viso di lei.
Alla fine si decise ad accendere la lampadina che oscillava 
pigramente dal centro del soffitto per dare un'occhiata: Lizzie 
sembrava stare molto meglio adesso. Tanto per cominciare, 
non era più rannicchiata in posizione fetale, aveva smesso di 
tremare e stava riacquistando colorito; se non fosse stato per 
le guance ancora infuocate e per la chiazza già più scura e 
tendente al violaceo visibile al di sotto dell'occhio sinistro e 
che si allargava a macchia d'olio fino sul setto nasale, la si 
sarebbe tranquillamente potuta definire "La Bella 
Addormentata". Le labbra rosse leggermente dischiuse 
lasciavano intravedere i piccoli denti color madreperla, la 
massa dei capelli bruni sparsa in disordine sul cuscino di lui 
ricordava un groviglio di alghe marine abbandonate 
delicatamente sulla spiaggia dalle onde tranquille 
dell'oceano, gli occhi erano chiusi ed immobili, il collo 
leggermente reclinato a destra, il respiro calmo e regolare e la 
mano sinistra distesa, oltre il lenzuolo, come se, durante il 
sonno, si fosse inconsciamente accorta della sua presenza e 
avesse tentato di avvicinarglisi per poterlo toccare.
Sam prese quella mano e la tenne, per un secondo, stretta 
tra le proprie: era fredda ma non sudata, immobile come il 
resto del suo corpo. 
-Smettila di proiettare sugli altri i tuoi desideri- si disse a 
bassa voce e si stupì di se stesso: quella era una delle frasi 
che si sarebbero adattate senza dubbio all'ammiraglio 
Calavicci ma non al dottor Beckett, per cui il lavoro veniva 
sempre prima di tutto.
Ma Lizzie era un'eccezione, una creatura fantastica che 
poteva vederlo, sentirlo, toccarlo, parlare con lui liberamente 
e farlo sentire, dopo tanti anni, finalmente l'uomo che era.
Rimise quella mano sotto le coperte, scostando appena il 
lenzuolo ed intravide la sua spalla nuda e ben tornita e la 
spallina della sottoveste di raso che era pericolosamente 
scivolata all'altezza del gomito.
Con l'indice della mano destra la fece risalire, lentamente, 
sfiorando la sua pelle con il tocco di una farfalla, pregando 
Dio che non si svegliasse, non ancora.
Fece un respiro profondo e si allontanò da quel letto.
Sarebbe stata una lunga, lunghissima notte.
Si voltò di spalle e si avviò  a rapidi passi verso il piccolo 
cucinino di Richard, cercando di frapporre nel minor tempo 
possibile almeno tre o quattro metri tra lei ed il suo pazzo 
desiderio: lo sentiva urlare dentro, come una tigre feroce 
rimasta chiusa in una gabbia angusta per troppo tempo, 
come il vento di tramontana soffia violento prima della 
tempesta; sapeva che la sua mente razionale non sarebbe 
riuscita a fargli mantenere il controllo ancora a lungo.
Si costrinse a concentrarsi e si mise alla ricerca di un 
qualcosa per prepararsi un caffè, qualsiasi cosa che gli 
permettesse di non pensare, di distrarre quella tigre e di farla 
riaddormentare ancora una volta.
Ma andare in cucina non fu una buona idea.
Subito gli venne in mente la sera prima, in quell'altra cucina 
a casa degli Howard, quando le loro dita si erano sfiorate e si 
erano subito intrecciate, seguendo una volontà che non era 
stata precisamente né dell'uno né dell'altra. Ripensò ai gesti 
che aveva fatto, a come aveva stretto le sue dita, come 
fossero la sua unica ancora di salvezza di fronte al naufragio 
della propria vita persa e sparpagliata un po' in ciascuna 
delle persone in cui era saltato. Le loro nocche erano 
diventate bianche per la pressione, per lo sforzo esercitati da 
entrambi per reprimere i propri sentimenti.
Ma la tigre era stata più rapida e l'aveva colto di sorpresa.
L'aveva fatto avvicinare con un balzo a lei, i loro corpi si 
sfioravano nella calura di quell'interminabile pomeriggio: lui 
l'aveva spinta docilmente contro la parete della cucina e poi 
l'aveva baciata di colpo, tuffandosi nel mare delle sue labbra, 
mentre Gordon se ne stava sbragato sul divano del salotto, a 
circa tre metri da loro, a guardare quello stupido programma 
televisivo.
Allora il desiderio l'aveva divorato in un istante, come un 
fuoco divora un legno imbevuto di benzina; se non ci fossero 
stati i rimbotti di Gordon che, dando loro le spalle, grugniva 
per ottenere un'altra fetta di crostata alle fragole, a quest'ora 
non ci sarebbero stati rimpianti, né recriminazioni, né 
incertezze: l'avrebbe presa lì, dove si trovava, l'avrebbe stretta 
così tanto da farla quasi gridare, avrebbe fatto l'amore con lei 
senza pensare alle conseguenze.
E Lizzie sarebbe stata finalmente sua.
Al solo pensiero sentì una contrazione dolorosa alla bocca 
dello stomaco.
Ormai era tardi.
Versò un orribile caffè nella prima tazza che fu in grado di 
trovare e si sedette a fissare le tenebre che stavano 
avanzando.
 Dopo qualche minuto percepì un fruscio alle proprie spalle.
-Se sei venuto qui per dirmi che non è stata una buona idea, 
sappi che non è proprio il momento adatto, Al!
Ma nessuna voce si unì alla sua per spezzare il silenzio. 
Sam si voltò sulla sedia trangugiando la brodaglia che si era 
preparato e quasi cadde tanto velocemente tentò di scattare 
in piedi a quella vista: Lizzie era lì, di fronte a lui, in 
sottoveste e con un asciugamano bagnato all'altezza dello 
schiaffo ricevuto da Gordon.
Per un attimo che a Sam parve una vita, nessuno parlò.
-Senti.-comimnciò timidamente lei: un sorriso nervoso le 
increspava le labbra- volevo ringraziarti per quello che hai 
fatto.
-Ma figurati!- La interruppe troppo precipitosamente lui.
-No, davvero.Se tu non avessi liberato gli animali e se Al 
non fosse venuto ad aiutarmi.A quest'ora.-Ma ebbe paura 
anche solo di pensare cosa sarebbe potuto accadere e 
terminò la frase, inclinando la testa dal lato sinistro.
E adesso era giunto il suo turno di parlare.
Buffo: non riusciva a pensare a niente di sensato da dirle.
Lei si agitava un po', saltellando ora su di un piede ed ora 
sull'altro, mentre, sotto lo sguardo di Sam, un certo rossore 
cominciava a salirle sulle guance. Lui guardò in terra e si 
accorse che Lizzie era scalza: le gambe snelle erano 
abbronzate fin sotto il ginocchio, al di sopra del quale 
diventavano vistosamente più pallide fino a sparire coperte 
dalla sottoveste; lui non riuscì a reprimere il proprio pensiero 
che corse velocemente all'altezza dell'inguine, inseguendo le 
forme di lei, a domandarsi di che colore potesse essere quella 
sua pelle che profumava leggermente di gelsomino.
Il rossore sul suo viso, cominciò a diffondersi lungo il collo.
-Hai dormito bene nel mio letto.Cioè, in quello di Richard?
Stupida, stupida domanda!!!
Andiamo, cerca di riflettere, così la metterai in imbarazzo!
Lei annuì con la testa, strinse gli occhi e fece un bel respiro, 
come se si sentisse mancare l'aria.
-Sam.- Si interruppe ed attese che lui rivolgesse al suo viso 
tutta la propria attenzione- come ci sono finita nel tuo.Nel 
letto di Richard?
Sam sorrise e fece un passo verso di lei che indietreggiò 
istintivamente, verso l'angolo più lontano della cucina.
-Beh, ti sei gettata fra le mie braccia.No, cioè non voglio 
dire.Insomma tu stavi male, tremavi, avevo paura che ti 
venissero delle convulsioni, poi sei svenuta, così ti ho.Tolto i 
vestiti, le cose strette, è una prassi medica, io.Oh mamma, 
fermami, ti prego!
Lei rilasciò il fiato che aveva trattenuto immaginandosi quelle 
sue mani grandi ma aristocratiche che la privavano, esperte, 
dei propri vestiti e gli sorrise complice.
-Vuoi del caffè?- Le chiese Sam, tanto per cambiare discorso.
Lei scosse la testa in modo deciso ed una piccola smorfia le si 
dipinse sul volto.
-Non è che c'è del ghiaccio da qualche parte? Comincia a 
pulsare in un modo insopportabile.
-Ci deve essere qualcosa in ghiacciaia.Ecco, dammi 
l'asciugamano.
Lui le voltò le spalle per un attimo, ruppe il blocco di ghiaccio 
in pezzi più piccoli, li infilò nell'asciugamano cercando di 
farlo diventare una moderna borsa termica e poi si voltò per 
porgerglielo, sorprendendo i suoi occhi scuri intenti a fissare 
le sue spalle e i movimenti rapidi dei suoi bicipiti.
-Vediamo un po'.-Si avvicinò di più e le sollevò il viso col 
pollice- non è niente di grave- la fissò con occhio clinico, 
cercando di immaginarla come una qualsiasi delle sue 
pazienti.Non gli diceva sempre Al che lui era anche un gran 
bravo dottore?- fra un paio di giorni basterà un tocco di 
cipria e nessuno si accorgerà di niente.
-Già.-rispose lei con voce incerta, strizzando l'occhio 
sinistro e abbassando la testa, cercando decisamente una via 
di fuga.
-Tieni.-disse Sam, appoggiandole il ghiaccio all'altezza del 
livido- reggilo tu, così puoi muoverlo dove senti il dolore; fra 
cinque minuti avrai metà faccia completamente anestetizzata 
e sarai costretta a ridere solo con mezza bocca!- Le mimò la 
scena, storgendo le labbra in modo grottesco.
Lei scoppiò in una genuina risata argentina, abbassò un 
poco la testa nell'impeto che la scuoteva tutta poi, quando 
cercò di ristabilire una specie di normalità, portò di corsa la 
mano sinistra all'altezza del ghiaccio.
E le loro estremità si toccarono di nuovo.
Il ghiaccio cadde a terra, fracassandosi in mille minutissimi 
pezzi che si sparsero allegramente per tutto il pavimento 
della cucina: quel contatto era stato troppo subitaneo ed 
inaspettato per entrambi, una specie di scossa elettrica che li 
aveva fatti improvvisamente sentire sull'orlo di un precipizio.
Il timer del loro desiderio si avvicinò paurosamente all'ora X.
-Oh Dio, che sbadata! Mi dispiace io.Non so cosa mi prenda 
oggi.
-Ma no, che dici, è stata colpa mia! Stai tranquilla, è soltanto 
acqua.
-Sì, ma allagherà la cucina del povero Dick! Aspetta, ti aiuto!
Si abbassarono insieme, piegando le ginocchia molto 
velocemente.
Troppo.
Lei, probabilmente ancora stordita dal colpo subito e dalle 
ore passate a letto, perse l'equilibrio e si appoggiò a lui.
Sam fu rapido ad afferrarla e la riportò molto lentamente in 
posizione eretta.
Adesso le sue mani le circondavano i fianchi tenendola ben 
stretta all'altezza della vita.
-E' tutto Ok?.
-Non lo so ancora.-gli rispose, fissandolo a lungo in quei 
suoi occhi verdi.
Sam inspirò profondamente una o due volte.La tigre stava 
ruggendo minacciosamente.
Stringila forte a te, soffocala di baci, toglile il respiro, falla tua 
e non permettere a nessun altro al mondo di farle del male!
-Forse è meglio se andiamo.Cioè se ti riporto a letto .- Ma 
non sapeva decidersi e rimasero immobili, spostati verso 
l'angolo del cucinino, come due belle statuine di sale, 
congelati nel loro desiderio, terrorizzati dalle conseguenze 
delle proprie azioni: adesso le mani di lui erano risalite dalla 
vita lungo la schiena per posizionarsi all'altezza degli 
avambracci, mentre quelle di Lizzie erano appuntate sui suoi 
pettorali, come in una specie di gesto primitivo di difesa; la 
testa reclinata a destra, giocherellava senza accorgersene con 
la peluria del petto di Sam, muovendo verticalmente le sue 
dita di pochi centimetri.
Per Sam era come sentirsi dilaniare il petto da un aratro 
crudele.
Dio com'era bella: la sua pelle, illuminata dai primi ed 
argentati raggi di luna che filtravano attraverso la pesante 
tenda verde aveva assunto un colorito più scuro e la faceva 
assomigliare ad una ninfa dei boschi, con quegli occhi 
enormi e oscuri e le pupille che andavano dilatandosi e 
fondendosi con la penombra della stanza; aveva un tremito 
leggero, che scuoteva a tratti tutta la sua persona e le faceva 
muovere la testa aritmicamente, quasi stesse per sprofondare 
sotto la massa di capelli bruni.
Sam le sistemò una ciocca di capelli ribelli e gliela portò 
dietro le orecchie e Lizzie sorrise di un sorriso sincero ed un 
po' misterioso.
Le loro bocche si avvicinarono lentamente, coprendo con 
calma i pochi centimetri che le separavano dal momento che 
entrambi avevano desiderato probabilmente dall'attimo 
esatto in cui si erano conosciuti per la prima volta; quando le 
loro labbra si fusero in un tenero bacio, Sam ebbe la netta 
sensazione di stare galleggiando di nuovo, solo che stavolta 
non c'era più la grigia nebbia inconsistente ma un'armonia di 
colori così meravigliosa che gli faceva quasi scoppiare il cuore 
al solo pensiero che potesse esistere.
La baciò a lungo, senza staccarsi mai, senza permetterle di 
riprendere fiato, cercando di evitare di pensare.
La tigre ruggiva fiera, il desiderio pulsava dentro di lui.
Si accorse che lei stava indietreggiando ma non la lasciò 
andare neanche per un istante: accompagnò il suo 
movimento leggermente ancheggiante, fino a che Lizzie andò 
a toccare contro le fredde piastrelle della parete.
Sam sentì il corpo di lei inarcarsi per il gelido contatto e la 
strinse con forza a sé, continuando a baciarle la fronte e il 
naso per poi scendere giù, lungo il collo, a coprire tutto quel 
rossore che andava aumentando lì dove le sue labbra 
sfioravano centimetri quadrati di quella sua pelle che non era 
mai stata realmente amata.
Qualcosa, molto in fondo alla sua mente cominciò a 
dimenarsi, come un fastidioso campanello d'allarme; la voce 
di Al gli rimbombò nelle orecchie:
"Tu devi stare lontano da quella donna! Se suo marito vi 
scopre mentre fate.Bigo, Bango, Bongo.Le sparerà alla 
schiena e probabilmente ammazzerà anche te.Andiamo, 
Sam, sono io quello che ragiona con gli ormoni, non tu!"
Ma qui non si trattava di ormoni, non solo, non più e in un 
secondo capì che cos'era stato quello sguardo negli occhi 
dell'amico preoccupato, quasi disperato.
Al diavolo tutto.
E la tigre balzò finalmente fuori dalla gabbia della propria 
mente.
Appoggiò la propria mano sulla sua gamba destra e cominciò 
a farla scorrere lentamente verso l'alto, accarezzandole la 
coscia, giocherellando con l'orlo della sottoveste; il suo 
sguardo corse al viso di lei, affondato sulla sua spalla, notò 
di nuovo quel grosso livido bluastro e qualcosa, in lui, 
s'irrigidì.
-Lizzie.Fermiamoci un secondo.
Lei lo guardò esterrefatta, senza parlare: fronte contro fronte, 
i loro fiati si fondevano in unico, caldo respiro.
-Forse non è quello che vuoi.Insomma, io non vorrei 
abusare di te, di una situazione.Tu sei confusa e.
Stavolta lei non lo lasciò finire, non gli permise di scappare di 
nuovo di fronte all'enormità dei pensieri di entrambi: allungò 
un braccio e gli chiuse le labbra con l'indice, quindi gli 
afferrò entrambe le mani.
E Samuel Beckett seppe esattamente che cosa doveva fare.
Camminò all'indietro, sempre guardandola fissa negli occhi 
fino alla camera da letto di Richard; la lasciò solo un 
secondo, per chiudere la pesante porta alle loro spalle.
Adesso erano completamente soli e distaccati dal resto del 
mondo.
Presente, passato e futuro.
Lei si sedette sul letto e gli fece cenno di avvicinarsi e lui 
rimase fermo a guardarla, incapace di fare un altro passo, 
imprigionato in quei suoi occhi che si stavano facendo oscuri 
e andavano riempiendosi di nuove ombre colorate.
Il loro desiderio s'incontrò a metà strada, danzò rapido con le 
tenebre della sera e poi li spinse di nuovo l'una tra le braccia 
dell'altro.
-Ti ho desiderata così tanto da farmi male.
-Lo so.-gli rispose in un soffio, tra un bacio sul suo petto e 
il tentativo maldestro di sfilargli la cintura e i jeans 
appiccicatisi per il caldo ed il sudore.
-Non ho mai amato nessuna come amo te , Lizzie.
-Lascia stare il passato- la sua voce sembrava venire da un 
altro mondo- se tu non lo ricordi farò finta che non sia mai 
esistito. Ma questo è il mio presente ed è il mio momento, 
Sam.
Lui le bloccò le mani all'altezza della testiera del letto, 
costringendola a guardarlo fisso negli occhi; attraverso le sue 
pupille nere riuscì a cogliere un riflesso di se stesso.
Ti amo, Lizzie- E la baciò con passione cercando di dirle con 
quel bacio tutto ciò che non avrebbe avuto il tempo di dirle, 
preso com'era dalla fame e dalla sete di lei, come se il suo 
corpo potesse ristorarlo da tutte le fatiche, da tutti gli 
acciacchi , da tutti i dolori e le ferite che il suo cuore aveva 
accumulato in quattro lunghi anni di solitari viaggi, mentre il 
respiro gli si faceva affannoso.
Scariche di elettricità sembravano attraversargli il corpo 
mentre, incerto su dove finisse la propria anima e cominciasse 
quella di lei,  si sentiva di nuovo scivolare e trasportare senza 
peso e senza tempo in un universo mai esplorato prima; 
ancora una volta non c'era nessun dolore e nessuna fredda 
luce blu.
Ma stavolta la mente del dottor Beckett non espresse alcuna 
angosciosa domanda.
Finalmente, dopo tanto tempo, si sentì per la prima volta come 
Ulisse in uno degli ultimi canti dell'Odissea: sapeva di essere 
approdato di nuovo a casa.

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Progetto Quantum Leap
Stallions Gate, New Mexico
Martedì, 16 Aprile 1999
 Ore 22:48

L'ammiraglio Calavicci sospirò, mentre, con passo lento e 
visibilmente stanco, si apprestava a scendere i pochi gradini 
che separavano la "Camera Immagini" dal resto del 
complesso dove, da quattro anni a questa parte, era solito 
passare la maggior parte del proprio tempo.
-Ammiraglio.-
Al sentì la voce di del computer ibrido parallelo flautata, 
come quella di una gatta in amore, tingersi di una nota di 
frustrazione per il fatto che questa era la quarta volta che lei 
lo stava chiamando senza ottenere alcuna risposta.
-Ammiraglio Calavicci.
Maledizione al suo ego ipersviluppato.
-Che c'è, dolcezza?- Al decise che era meglio risponderle: 
Ziggy sapeva essere molto persuasiva, asfissiante nella 
propria monotonia, ossessiva e possessiva al tempo stesso e, 
poiché non possedeva alcun limite fisiologico alle proprie 
capacità, sapeva che avrebbe potuto continuare a chiamarlo 
in quel modo, con quel tono, come se non aspettasse altro 
che uscire a cena con lui, magari per tutta la notte.
-Perché mi ha fatto aspettare?- Chiese l'elaboratore con voce 
un po' depressa.
-Ero assorto nei miei pensieri.-Ed Al rivolse di nuovo lo 
sguardo alla porta della camera immagini che era rimasta 
spalancata dopo la sua uscita.
-Il dottor Beckett è un grande amatore, il suo fisico è 
prestante.Molto prestante.La lunghezza del suo.
-Ziggy!
-Mi scusi, Ammiraglio.Credevo che le interessasse sapere 
quanto ancora sarebbe durata la notte di felicità amorosa del 
Dottor Beckett e di Annalisa Howard.
-Beh, stavolta ti sei sbagliata, tesoro.- il tono sarcastico di 
Al produsse una rapida risposta.
-Non dimentichi che io e lei siamo mentalmente collegati, 
Ammiraglio.La sua mente per me non ha 
segreti.Comunque andranno avanti così 
approssimativamente per altre cinque ore, ventisette minuti, 
dodici secondi al termine dei quali prevedo un breve sonno 
ristoratore che gli permetterà di riprendere da dove hanno 
lasciato all'incirca per.
-Ziggy, piantala!- Stavolta il tono nella voce di Al non 
ammetteva repliche.
-Mi scusi, Ammiraglio, non la facevo così pudico.Ma se 
davvero tutto ciò non le interessa.Perché sta continuando a 
guardare?
Nessuna risposta.
-Ammiraglio?
-Mmmmh?- Al mugolò, i pensieri distanti seguivano i 
movimenti fluidi dei due amanti al di là dello schermo.
-Perché non ha voluto provare ad apparire al dottor Beckett? 
Avevo trovato un pattern di onde cerebrali relativamente 
stabili, poco prima che cominciasse la sua.Tempesta 
ormonale.Sarebbe riuscito a mettersi in contatto con lui con 
un probabilità del 76%!
-Troppo bassa.Questi continui tentativi mi fanno venire il 
voltastomaco!
-Alle volte lei ha tentato con probabilità di parecchio più 
basse, Ammiraglio.-
Ad Al sembrò di udire un risolino venire dal corpo centrale di 
quel gigantesco computer, come se effettivamente sapesse 
che lui le stava mentendo.
-Ziggy.Ci sono cose che un uomo non può fare.
-La relazione avventata del Dottor Beckett e della Signora 
Howard causerà la morte di entrambi i soggetti in questione; 
è soltanto questione di tempo.
La voce fredda e tagliente, leggermente metallica, lo colpì 
come una lancia e gli attraversò il petto ferendolo molto 
vicino al cuore.
-Non ha importanza.Ziggy.
-Sì???- gorgogliò il computer in modo molto provocante.
-Lascia perdere le probabilità solo per un secondo; mi sono 
fidato del mio istinto e credo di aver fatto la scelta migliore.
-Francamente, mi sembra una scelta parecchio discutibile.
L'ammiraglio Calavicci scosse la testa e rimase fermo, come 
colpito da un pensiero collaterale.C'era stato qualcosa, 
qualcosa in quell'affermazione, in quella voce, che non 
avrebbe dovuto esserci.
Qualche centesimo di secondo dopo Al impallidì e si voltò di 
scatto, sperando di essersi sbagliato e di grosso.
Ti prego, fa che non sia lei.Dimmi che me lo sono soltanto 
immaginato.
Ma Donna Elesee era lì, semplicemente in piedi, di fronte a 
lui: gli occhi neri spalancati fissavano increduli la porta 
aperta della "Camera Immagini" da cui non proveniva alcun 
suono.
Ma ciò che si vedeva sullo schermo non aveva alcun bisogno 
di spiegazioni.
-Donna.-farfugliò, cercando di frapporsi tra il suo campo 
visivo e la porta aperta della "Camera Immagini"- Sei ancora 
sveglia? Credevo stessi dormendo.
-Al, togliti di mezzo
Lui fece cenno di no con la testa.
-Per favore!- Ma il tono con cui lo disse assomigliava molto 
più ad un ordine impartito con un vigore strano a vedersi, in 
una donna come la Dottoressa Donna Elesee Beckett.
Al si scostò per un secondo, sperando che lei non fosse 
riuscita a vedere molto, quindi chiuse di scatto la porta della 
stanza e cercò di assumere un'espressione neutra, 
perfettamente naturale. Lei rimase ferma lì, davanti a lui, a 
fissare il pavimento della sala con un'espressione a metà via 
tra il disgusto e la rassegnazione.
-E' molto tardi e siamo tutti e due stanchi morti.
-Tu non me l'avresti mai detto, vero Al?
-Non c'è niente da dire.Lo sai com'è Sam.Un vero 
boyscout.
Coraggio, guardala attentamente negli occhi e cerca di essere 
convincente.
-Già.Un vero Boyscout!- Gli fece eco lei, una nota di 
disprezzo nella voce gli fece intendere che, almeno per quella 
sera, lui non sarebbe riuscito a menarla per il naso. Al 
Calavicci percepì la tensione nell'aria avvolgerli entrambi 
come un manto di gelida neve e si sentì, per la prima volta 
nella propria vita da quando era tornato dai campi di 
prigionia vietnamiti, completamente impotente.
-E' stata Ziggy a chiamarmi.
L'ammiraglio si voltò a guardare il soffitto: i suoi occhi scuri 
si fecero piccoli per la rabbia ed il disappunto.
-Credevo che le donne dovessero essere solidali tra di 
loro...Ammiraglio, mi dica che non è arrabbiato con me, la 
prego!
Maledizione.
-Donna, ascoltami.
-No, Al, non dire niente, per favore!- Lei reagì quasi gridando, 
il tremore furente nella voce andava aumentando, lasciando 
semplicemente immaginare la tempesta che andava 
formandosi alle soglie della sua anima e che l'avrebbe 
tormentata durante tutta quella maledettissima notte- 
adesso non dirmi che lei per lui non significa niente!- Con il 
pollice della mano sinistra si toccò istintivamente il 
cerchietto d'oro che portava all'anulare, simbolo di una 
promessa, di un patto ormai divenuto unilaterale e lo sentì 
per l'ennesima volta pesante, più di un giogo per buoi; una 
lacrima cominciò a rigarle la guancia .- Io.Sono sua moglie!
-Ma lui non se lo ricorda!- Lo giustificò Al, sinceramente 
dispiaciuto e partecipe dei suoi sentimenti.
-Bugiardo!
-Lo sai anche tu che il suo cervello ha più buchi di un 
formaggio svizzero.
-Oh, smettila di inventarti scuse! Si ricorda di suo padre, di 
suo fratello Tom, persino di qualcuno dei suoi salti 
precedenti! Forse non si vuole ricordare di me.
-Adesso sei ingiusta.
-E tu che razza di mostro sei?!- E fuggì via di corsa, 
riempiendo il corridoio silenzioso dei suoi singhiozzi 
disperati.
-Ah, gli uomini!- Ziggy sussurrò, dall'alto della propria 
posizione privilegiata- Ammiraglio.A che ora vuole che la 
svegli domani mattina? Come le ho già detto, il Dottor 
Beckett manterrà sotto controllo la situazione per diverse ore 
senza stancarsi troppo.
-Lascia perdere, mi sveglierò da me.
-Oh, capisco.Ispirato dalle prestazioni del Dottor Beckett ha 
in programma una serata romantica per festeggiare il ritorno 
di Tina, Ammiraglio?
Lui percepì il tono lussurioso in quella voce calda e suadente. 
-Veramente avevo in programma una sana sbronza in 
compagnia di una dolce e liscia bottiglia di scotch. E non 
dirmi che non lo dovrei fare.
-Non penso che sia una buona idea.
-Nessuno ha chiesto il tuo parere.
Albert Calavicci si allontanò in silenzio a lunghi passi, quasi 
completamente al buio verso la porta del proprio alloggio.
Odio questo bunker dove non filtra mai un raggio di sole; odio 
dover strisciare sotto terra come un verme e spendere qui i 
miei anni migliori; odio dover fare da balia.
Ma bloccò il proprio pensiero.
Prima che Ziggy riuscisse a leggerlo.