Five Chapter


Residenza degli Howard
Venerdì, 26 Agosto 1955
Ore 17:28


Gordon Howard appese il ricevitore del telefono al muro e si 
voltò, sogghignando soddisfatto.
-Al vecchio Norton sono appena nati una trentina di 
fantastici pulcini.Mi ha invitato a vederli, prima che li porti 
alla fiera per poterli vendere, dice che mi farà un prezzo 
speciale e che, se mi sbrigo a partire, potrò essere alla sua 
fattoria prima che si faccia troppo buio; sua moglie cucinerà 
una buona cenetta e passeremo la serata a ricordare i bei 
giorni andati.Gli ho detto che tu non stavi troppo bene.E 
che non saresti venuta con me- disse, e si fermò a fissare 
Lizzie per un secondo, qualcosa gli si accese negli occhi; 
subito riprese:- Del resto, non saresti stata altro che un 
impiccio: stupida come sei non riconosceresti un tacchino da 
un pollo!-Sghignazzò, evidentemente divertito, prima di 
concludere:- e poi non mi va di lasciare quel negro qui da 
solo; forse in due riuscirete a ragionare come una persona 
con un cervello quasi normale! 
Lizzie non rispose, impegnata com'era a nascondere una 
lacrima appena visibile all'angolo dell'occhio destro: le era 
sorta spontaneamente, succedeva sempre così ogni qualvolta 
spolverava la minuscola vetrinetta degli oggettini in 
porcellana e sollevava tra le dita la miniatura di una gondola 
veneziana, l'unico ricordo italiano che Gordon le aveva 
concesso di tenere in casa.
-Ehi donna, sto parlando con te!
-Sì, Gordon, certo, vai pure.- Gli rispose, senza troppa 
convinzione.
Quel luccichio negli occhi del marito cominciò a brillare più 
intensamente.
-Da quando in qua mi dai le spalle mentre ti parlo?! Sei 
diventata matta?
Lizzie si girò di scatto ed arretrò inconsciamente verso la 
parete più vicina.
-Scusami, è che stavo spolverando e non volevo rompere 
niente.-nel chiarore della stanza, lui vide la sua mano 
destra tremare leggermente, le dita avvinghiate alla gondola 
di Venezia, quasi fosse l'unico mezzo per potergli sfuggire.
-Già, quelle piccole cianfrusaglie sono molto importanti, 
vero? Più importanti di tuo marito, del rispetto che gli devi.
-Nnno.Non ho detto questo.Pensavo.
-Tu pensavi?!- La sua voce assunse un tono di patetica 
sorpresa- e da quando hai cominciato a pensare per i fatti 
tuoi, senza ascoltare quello che ti dico?- Gli piacque vedere 
che Lizzie aveva abbassato gli occhi e li teneva fissi al 
pavimento, senza osare aprire bocca.
-Sai che cosa penso io invece?- Le si avvicinò, con un'ampia 
falcata, fino a quando non fu certo di averla chiusa in 
trappola- che così le cose non vanno, che stai prendendo una 
brutta piega e che hai bisogno di una bella ripassata.-Ed 
allungò la sua tozza mano destra, afferrandole la coda di 
cavallo.
-Ah!-Annalisa gridò, storgendo il capo- ti prego.Ti prego, 
Gordon, perdonami.Non volevo, io non volevo offenderti.
-Ah no?!- Adesso sorrideva di un sorriso malvagio e sinistro, 
mentre le tirava con forza i capelli, costringendola ad 
abbassare la testa piegando le gambe, fino all'altezza del 
cavallo dei suoi jeans impolverati e stinti- e scommetto che 
ieri non volevi rompere quel vaso, così come scommetto che 
tu credi di essere una brava moglie.
-Faccio quello che posso..
-Non è abbastanza!- Le gridò, mentre il precedente furore, 
lentamente, cedeva il passo ad una specie di primordiale 
istinto- Se tu fossi veramente una brava moglie, non mi 
lasceresti andare via così.Non potresti stare un minuto 
senza di me, ti prodigheresti per il mio piacere ed invece 
piuttosto che stare con te preferisco passare il tempo con le 
puttane di Lou! E' colpa tua, non lo capisci? E adesso ti 
dovrò punire, come si fa con gli asini quando non ne vogliono 
più sapere di andare avanti, così capirai, una volta per tutte, 
chi comanda qui!!!- E la scaraventò con violenza contro il 
muro; lei scivolò a terra e si storse una caviglia, ma si morse 
le labbra per non urlare: non sarebbe servito a niente, 
l'avrebbe solamente eccitato di più.
-In piedi, puttana!- Le urlò, portandosi le mani alla patta e 
cominciando a sbottonarsela. Lei si alzò lentamente, gli occhi 
sempre fissi a terra,  con le lacrime che già le irrigavano il 
volto, scendendo leggere lungo le sue guance.
-Ti supplico, Gordon.Lasciami andare.
Lui l'afferrò con forza per la spalla e la costrinse ad 
avvicinarsi.
-Fra poco mi supplicherai perché io continui.-le disse, con il 
respiro già pesante, mentre cercava di sbottonarle il corpetto 
del vestito con le mani e le percorreva il collo con le labbra 
umide; Lizzie rabbrividì a contatto con la sua pelle ruvida, 
con le sue guance ispide, con la sua bocca bagnata e viscida, 
come il ventre di un grosso rospo; sentì emanare dal suo 
corpo l'odore ormai noto dell'alcol e del tabacco, quello degli 
animali chiusi nei recinti e del suo sudore e seppe di non 
avere più scampo. Pregare non sarebbe servito a niente, lo 
avrebbe irritato di più e lui, per vendicarsi, per zittire quel 
poco di coscienza che ancora gli restava, l'avrebbe picchiata 
più forte, le avrebbe fatto molto male e, alla fine di quell'atto 
barbaro, le avrebbe affibbiato la colpa di ogni cosa; era 
sempre lei quella che provocava, lei quella che lo faceva 
comportare male, lei che lo costringeva a darle una lezione 
perché non voleva capire.
Soffocò i singhiozzi e cercò, come aveva sempre fatto, sin 
dalla prima volta, in Italia, quando lui l'aveva presa con la 
forza al riparo di uno dei vecchi ed inutilizzati magazzini che 
sorgevano tutto attorno al porto, di estraniarsi e di fuggire 
almeno con la mente: immaginò di essere con Sam, nel 
futuro, lontana cinquant'anni da quell'opprimente peso, da 
quel dolore lancinante che cominciava a sentirsi dentro, dal 
suo fiato caldo ed appiccicoso, da tutto quello schifo che 
aveva riempito la sua vita; chiuse gli occhi, cercando di 
asciugarsi le lacrime con una mano, lasciando che Gordon la 
tenesse contro il muro, che finisse in pace il suo lavoro, che 
la stringesse fino a farle male, sperando di sentirla urlare 
pietà, perdono, qualsiasi cosa che testimoniasse una sua 
partecipazione a quell'atto brutale. Ma, dalla sua bocca, non 
uscì altro che un grido soffocato nel momento più intimo del 
contatto, l'unico suo momento di debolezza: sapeva che, la 
sua fredda apatia, il suo nascondersi in un posto 
irraggiungibile ed inaccessibile a lui lo avrebbero fatto 
infuriare orribilmente, che alla fine si sarebbe staccato da lei, 
le avrebbe schiaffeggiato le guance con violenza e poi se ne 
sarebbe andato via deluso e sconfitto perché, mentalmente, 
non l'aveva mai realmente posseduta, nemmeno per un 
secondo. Questa era l'unica forma di protesta e di difesa che 
a Lizzie era concessa, l'unico baluardo contro il suo infelice 
stato coniugale non erano altro che un pugno di sogni.
La piccola gondola di Venezia le cadde di mano e si frantumò 
ai loro piedi, esplodendo in un milione di frammenti: le parve 
di riuscire a percepirli, uno ad uno, cadere e sgusciare in 
ogni direzione, tanto il tempo si stava dilatando, facendole 
sentire, dentro il proprio corpo, quanto poteva essere lungo e 
doloroso ogni singolo secondo.
Finalmente, lui si staccò, spostò le sue grosse mani dallo 
strappo che avevano provocato al suo vestito, all'altezza del 
suo seno destro e le sollevò il volto arrossato.
-Guardami.- Le sussurrò.
Lizzie aprì gli occhi, ma non lo stava guardando per davvero: 
davanti a lei vedeva una spiaggia bianca, un mare tranquillo 
e profumato e Samuel Beckett che le tendeva entrambe le 
mani e che, con quel suo sorriso disarmante, la fissava 
intensamente e le accennava l'oceano alle loro spalle.
-Ti ho detto di guardarmi!
Ma lei continuò a tenere lo sguardo lontano, fisso nel vuoto 
di quel salone di cui non riusciva a distinguere nettamente i 
contorni, un lampo di luce nuova, che Gordon interpretò 
come sfida, lo stava animando. 
Lui la scosse con violenza, facendole sbattere la testa contro 
il muro.
-Non hai ancora imparato, vero?
E le assestò uno schiaffo sulla guancia sinistra; Lizzie scivolò 
di nuovo sul pavimento, con la dolcezza di una foglia morta 
che si stacca da un ramo; sentì qualcosa di caldo colarle giù 
dal naso, finirle sulle labbra e proseguire lungo le pieghe 
della sua bocca ed oltre il mento. Era il suo sangue, se ne 
rese conto dopo qualche centesimo di secondo, se lo asciugò 
con una  mano e ne fissò il colorito scuro, come se lo vedesse 
per la prima volta, poi, avvertì un rumore di fronte a lei e 
sollevò lo sguardo.
Gordon le stava dirimpetto, si era sfilato velocemente la 
cintura dei pantaloni e la stava fissando con un'espressione 
folle e le pupille dilatate per l'eccitazione:
-Piccola sgualdrina.Adesso vedremo se non ti metterai ad 
urlare.
La cinghia vibrò nell'aria, sibilando come un cobra pronto a 
colpire; Lizzie sollevò una mano meccanicamente e la pose 
davanti al viso.
Ma sapeva che non sarebbe servito.

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Cortile degli Howard
Contemporaneamente


-Lo sai che sei proprio bravo a piantare i pali?
-Piantala, Al; grazie al cielo ho quasi terminato qui.-E Sam 
assestò un ultimo e vigoroso colpo di zappa al terreno, prima 
di arrestarsi a detergersi il sudore dalla fronte madida e fu 
allora che si accorse della differenza.
-Al.la tua immagine sta tremando, perché?
-Oh, buongiorno, Bella Addormentata! Te l'ho detto che il 
collegamento con te si è parecchio indebolito.
Sam spostò lo sguardo altrove: dopo una breve panoramica, 
incrociò il tetto della residenza degli Howard e vi si incatenò 
per un brave secondo.
-Sam.Sam!
-Che c'è?
-Non mi piace.
-Che cosa?
-Lo sguardo che hai, le cose che fai.Ti fai la barba ogni 
mattina!
Il dottor Beckett squadrò l'amico da capo a piedi: aveva gli 
occhi stanchi, cerchiati da occhiaie profonde, i capelli 
spettinati e la barba di almeno due giorni che cresceva sulle 
guance scavate non faceva che peggiorare la visione 
d'insieme.
-Non si può dire lo stesso di te.Cos'è, Tina vuole un uomo 
più.Sofferto?
-Molto spiritoso.-Tossicchiò l'Ammiraglio, prima d'infilarsi 
in bocca l'ennesimo sigaro da cui aspirò profondamente un 
paio di boccate- Lei e Gooshie sono appena tornati, per due 
giorni ho dovuto fare tutto da solo.-Tacque: non poteva dire 
a Sam della visita del Senatore Doggett, le regole non lo 
permettevano.
Stupide, inutili regole.
Gli mancava quell'aspetto della loro relazione: l'impossibilità 
di dirsi tutta la verità, di vuotare il sacco; Al fu tentato dalla 
situazione, dal desiderio di condividere le proprie 
preoccupazioni con l'unico vero amico che avesse mai avuto 
sulla faccia della terra. Socchiuse le labbra.
Ed il collegamento manuale, forse per caso o forse no, 
cominciò a lamentarsi in modo inequivocabile.
-Che succede?
-Niente d'importante.Un piccolo calo di potenza.-gli 
assestò un pugno violento e tutto, per un attimo tacque. Nel 
silenzio afoso di quel lungo pomeriggio, Sam udì il rumore 
distinto di qualcosa che andava in frantumi.
D'istinto, voltò la testa verso la casa degli Howard e tese le 
orecchie, mentre il collegamento manuale ricominciava ad 
emettere dei flebili suoni.
-Sam.- Al scomparve per un secondo per potergli riapparire 
davanti e costringerlo a fissarlo negli occhi, ma lui distolse lo 
sguardo.
-Sam, che cosa mi stai nascondendo?
-Niente, niente.-Riprese in mano la zappa e fece per 
assestare un altro colpo, ma qualcosa, di nuovo lo arrestò e 
gli fece voltare la testa nella medesima direzione di prima.
-Sam te l'ho già detto che non mi piace, vero?
-Sì e se non hai altro da dirmi puoi anche andartene!
Al rimase colpito e ferito nell'orgoglio e fece per aprire la 
porta della camera immagini.
-L'ho baciata, Al.-Il Dottor Beckett lo sussurrò a mezza voce 
ed abbassò gli occhi a fissarsi la punta delle scarpe.
-Tu cosa?! Oh mamma, Sam! Chi ha baciato chi? Gooshie.
-Noi, io, lei.Insomma, ci siamo baciati.
-Quando?
-Ieri sera, a casa sua.
-Lo sapevo, lo sapevo!
-Sta' tranquillo, non è successo niente.
-Niente? Questo per te è niente? Sam, ti si è fuso il cervello?! 
Tu devi stare lontano da quella donna! Se il marito vi scopre 
a fare Bingo Bango Bongo le spara alla schiena, l'hai 
dimenticato?!
Sam non rispose, limitandosi a respirare, cercando di 
mantenere il controllo; Al aveva ragione, aveva dannatamente 
ragione.
-Sam, come hai potuto permettere che questo accadesse? 
Insomma, non hai pensato.
-Non posso pensare.
-Non puoi pensare? Gooshie, chiama Verbena! Questo è 
diventato matto.
-No, non posso pensare.Al, ho paura.Paura dei miei 
pensieri.Io la desidero, Al, non penso ad altro che a farla 
mia.Non ce la faccio a starle lontano.-Deglutì a fatica ed Al 
scosse la testa disperatamente.
-Sam, ascolta, lo so come ti senti.
-No.-stavolta fu il suo turno di negare violentemente con il 
capo- Tu non lo sai! Non sai cosa si prova! Questa che sto 
vivendo non è una vita ma solo una specie di grottesco sogno 
ad occhi aperti, una gabbia dorata, una prigione di fili di tela 
di ragno che non ne vuole sapere di farmi uscire.Al, io non 
era niente prima di incontrarla!
-Sam ma che stai dicendo?!
-Dico che sei qualcuno soltanto finché esiste un altro essere 
sulla faccia della terra capace di donarti un po' d'amore ed 
un sorriso.Per troppi anni non ho avuto nient'altro che 
pacche sulla spalla da sconosciuti, flebili ringraziamenti per 
il mio lavoro.Non voglio più fare la cavia, amico mio, non 
voglio più svegliarmi e chiedermi qual è la mia faccia, andare 
in giro nel corpo di qualcun altro e fingere di essere quello 
che non sono.
-Sam, se vuoi tornare a casa devi lasciarla stare! Ziggy dice 
che.
-Al diavolo Ziggy e le sue probabilità! Non ricordo neppure 
com'è fatta quella che tu chiami casa! Ma qui.
Proprio in quell'attimo, un grido acuto lacerò l'aria, 
interruppe il lavorio frenetico della mente del Dottor Beckett, 
impedendogli di chiarificare il proprio, sconvolgente ed 
avventato pensiero; un altro grido ed un rumore di passi 
concitati. La porta d'ingresso della casa si aprì rapidamente 
di un palmo, ma una forza maggiore la richiuse con violenza.
Poi tutto fu silenzio.
-Che diavolo sta succedendo?- La voce di Sam spezzò quello 
stato di calma apparente.
-Non lo so.-Al scosse le spalle.
-Perché non chiedi a Ziggy? Presto!
Al cavò lentamente dalla tasca il collegamento manuale che 
brillava in modo caotico e premette rapidamente un paio di 
bottoni; ma conosceva già la risposta, era appunto venuto 
per dirgli questo: che Gordon Howard avrebbe picchiato la 
moglie per tutto il pomeriggio, lasciandola mezza morta sul 
pavimento del salotto.
-Lui la sta.Sam! Sam che diavolo vuoi fare? 
Ma Sam non lo stava ascoltando più: la sua mente brillante 
aveva fatto due più due in un batter d'occhio, il suo cervello 
aveva elaborato una strategia; corse a perdifiato fino alla 
stalla dove le mucche ruminavano tranquille, ne spalancò il 
pesante cancello che Gordon aveva riparato da poco e picchiò 
violentemente la prima bestia sul capo, gridandole negli 
orecchi. L'animale, impaurito, scalciò ed arretrò quindi, 
avvistato con un occhio il cancello aperto, corse velocemente 
al di fuori della stalla e si diede alla fuga; dopo qualche 
secondo, tutte le altre seguirono la prima fuggitiva, tra un 
rumore pauroso di zoccoli ed un misto di muggiti spaventati.
-Sam che cosa vuoi fare?
-Che dice Ziggy? Maledizione, Al, che diavolo dice?!
Al lo fissò in quegli occhi così preoccupati che non aveva mai 
visto prima, quindi abbassò lo sguardo sul piccolo monitor e 
sentenziò:
-Ci sono 94 probabilità su cento che Gordon la lasci 
stare.Quel bastardo si preoccupa più degli animali che della 
moglie; mmmh- si schiarì la voce mentre la sua mente 
decideva se continuare a leggere ciò che il monitor portava 
scritto a chiare lettere- Ecco.Lei dice che Gordon ha 
intenzione di partire.Di stare via fino a domenica e che se, 
quando avrà finito con le vacche, con te e con i suoi bollenti 
spiriti la valigia sarà pronta sul letto.Se ne andrà a casa di 
qualcuno dei suoi amici ubriaconi e la lascerà in pace.
-Richard Wright!!!- Tuonò Gordon, molestato da tutto quel 
trambusto; si fece sulla porta, tenendosi i calzoni con la 
mano, a petto nudo e con i capelli scomposti- Che cazzo stai 
combinando? Ti conviene cominciare a pensare ad una scusa 
buona o, quando avrò finito con quelle luride vacche ti 
pesterò così tanto da cambiarti quei connotati da negro!- 
Quindi rientrò per un attimo in casa e gridò alla moglie:
-Con te non ho ancora finito, bellezza! Ci siamo spiegati?- 
Rimise la cintura al proprio posto e si precipitò verso Sam 
come una furia vendicatrice.
-Va' da lei, Al, te ne prego.
-E che cosa potrei fare per lei? Non può vedermi.No, Sam, è 
inutile che mi guardi così, tanto non lo farò!
-Andiamo, Al! Ti supplico: se non l'aiuti tu lui la ucciderà!
-Questo tu non puoi saperlo!
-Ma so che l'amo! E so che tu sei il mio migliore amico! Lei 
riesce a vedere me; non ti sarà difficile trovare una frequenza 
compatibile con le sue onde cerebrali.E' una cosa semplice, 
amico mio, non abbandonarmi adesso.
Al sospirò mentre lo guardava allontanarsi, camminare 
all'indietro ritardando l'incontro con Gordon e mantenere lo 
sguardo fisso su di lui, come ad assicurarsi che facesse 
quello che gli aveva domandato.
-Gooshie.Centrami su Lizzie e fa' in modo che lei possa 
vedermi.Non mi importa sapere come farai né che cosa sta 
ululando Ziggy! Devi farlo ORA!- poi chiuse gli occhi e pregò 
chiunque fosse in ascolto di aver fatto la cosa giusta.

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Residenza degli Howard
Venerdì, 26 Agosto 1955
Ore 18:54



-Lizzie, ci sei?- La domanda di Al rimase senza risposta; 
Gooshie l'aveva fatto apparire al centro della cucina della 
casa degli Howard. Tutto era in perfetto silenzio: dalla 
finestra entravano, portati dal vento, gli strilli e le bestemmie 
di Gordon alle prese con le vacche e con Sam Beckett. 
Al si spostò velocemente dalla cucina al salotto, chiuse nella 
tasca il fastidioso collegamento manuale che continuava a 
ricordargli come stesse infrangendo ogni sorta di regola e 
rimase in ascolto: flebile, come il miagolio di un gattino, un 
singhiozzo soffocato attirò la sua attenzione. Si chinò e 
guardò attentamente sotto il tavolo, verso l'angolo opposto 
della stanza.
Lei era lì, rannicchiata contro il muro, le braccia strette 
attorno al corpo a proteggersi inutilmente contro qualcosa 
molto più forte di lei, i capelli quasi sciolti sfuggivano dalla 
coda sfatta.
-Lizzie, riesci a vedermi?
Lei si strinse contro la parete, ancora più spaventata e 
spalancò gli occhi.
-Calmati bambina.
-Sei l'amico di Sam?- Gli chiese Annalisa, la sua voce era 
quasi un sussurro.
-Sì, mi chiamo Al e sono qui per proteggerti.
-Nessuno può farlo; stavolta mi ammazza sul serio.
-No, non lo farà! Io e Sam glielo impediremo, ma tu devi darci 
una mano.- Le guardò le braccia segnate da diverse strisce 
rossastre e sentì la rabbia crescere nel fondo del suo cuore. - 
Lizzie, ascoltami, adesso devi essere molto forte e coraggiosa.
Lei continuava a fissarlo incredula, gli occhi pieni di puro 
terrore.
-I miei amici del futuro mi hanno detto che Gordon stava per 
partire, è esatto?
Lei annuì rapidamente.
-Perfetto! Adesso devi alzarti e fargli la valigia; devi farlo! 
Altrimenti lui non partirà mai!
-Non ce la faccio.
-Si che puoi!
-Non posso muovermi.
-Se non ti alzi subito, per te e Sam sarà la fine.
-Sam?- Lei gli rivolse tutta la propria attenzione.
-Gordon è parecchio arrabbiato perché Sam ha liberato gli 
animali.Se non partirà lo picchierà molto duramente e 
nessuno potrà salvarlo!
Annalisa sbatté le palpebre, come per ridestarsi da un lungo 
sogno, quindi si sollevò dolorosamente in piedi.
-Che cosa devo fare?
Al la guidò attraverso tutta la casa, docilmente, come se 
stesse pilotando un robot: lei eseguiva i suoi ordini in 
silenzio, senza pensare, probabilmente senza rendersi conto 
di quello che stava facendo. Con l'aiuto di Ziggy Al localizzò il 
necessario per la partenza di Gordon: vestiti, pigiama, 
accessori per la toilette, tutto finì a riempire diligentemente 
un'elegante valigia in pelle, quindi Lizzie appoggiò un 
completo chiaro sulla sponda del letto e vi abbinò una 
cravatta color panna.
-Perfetto, bambina; sai, sei davvero speciale.-Le disse di 
sedersi un attimo in cucina, le promise che sarebbe rimasto 
con lei fino a quando Gordon non se ne fosse andato; Al la 
fissava di sottecchi e si domandava per quale tragico scherzo 
del destino una donna come quella fosse stata assegnata ad 
un uomo come Gordon. Sam aveva veramente ragione: quel 
bastardo non meritava neppure di condividere con lei la 
stessa aria, eppure lui poteva averla, maltrattarla, persino 
violentarla e restare impunito.
Le guardò il vestito sdrucito, spiegazzato sulla gonna, 
strappato all'altezza del seno e comprese quello che era 
accaduto e come non fosse nient'altro che routine per quel 
mostro di Gordon.
Lizzie tremava ancora quando il marito, sudato ed accaldato, 
rientrò bestemmiando dalla porta d'ingresso. Le si avvicinò, 
le tirò i capelli in modo che lei lo fissasse dritto negli occhi e 
le disse:
-Ma che tempismo! Che brava mogliettina sei.Hai già 
preparato tutto, si direbbe che tu sia quasi felice della mia 
partenza.Ma so che ti mancheranno le mie carezze tesoro!- 
Le spremette un seno con la sua grossa mano sinistra e 
scoppiò a ridere.- Dimmi che ti mancherò e che non puoi fare 
a meno di me.
-Che gran bastardo! Lizzie, ti prego, non reagire.Avanti, 
bambina, digli quello che vuole sentirsi dire, così se ne andrà 
e ti lascerà in pace.
-Sto aspettando.O vuoi che ci divertiamo ancora un po'?
-Avanti Lizzie!
-Mi.Mancherai tanto.-Lei sussurrò, la voce incrinata dal 
pianto e le lacrime che le scendevano, finendo a bagnare la 
mano del marito. Lui la lasciò andare di colpo.
-Che schifo! Mi fai venire da vomitare!- E si avviò verso la 
camera da letto. 
Venti minuti dopo, lavato, profumato e vestito come un vero 
gentleman, Gordon uscì di casa senza dirle una parola, 
caricò la valigia, accese il motore del proprio furgone azzurro 
e partì in fretta , sollevando un nuvolo di polvere mentre 
risaliva la strada sterrata.
Quando l'ultimo segno della sua presenza disparve, Sam si 
precipitò nella casa degli Howard e la chiamò a gran voce.
-Lizzie! Mio Dio, che ti ha fatto?- Lui era impolverato ed 
aveva i capelli pieni di terra poiché Gordon lo aveva colpito 
più volte facendolo cadere al suolo e lui non aveva reagito, 
nemmeno una volta. Lei si alzò dalla sedia, con passo 
tremante gli andò incontro, cercando di fare affiorare un 
sorriso tra le lacrime e gli scivolò senza parole tra le braccia.
-Sta tranquilla, va tutto bene ora, ci sono qui io, sei a casa.
Sam la strinse forte al proprio petto e la sollevò in braccio: 
Lizzie era svenuta pochi attimi dopo averlo raggiunto; non 
aveva peso, era come portare tra le braccia un gattino 
malato.
L'Ammiraglio Calavicci scosse lentamente la testa.
-Oh, Sam.
E sparì silenziosamente senza lasciare traccia.