CHAPTER FOUR



Progetto Quantum Leap
Stallions Gate, New Mexico
Lunedì, 15 aprile 1999
Ore 21:48

-Ehm.Computer.?
-Senatore Dogget, la prego, non mi tratti come se fossi il 
computer dell'Enterprise.Io posso svolgere.
- D'accordo, Ziggy.-Al la interruppe, prima che lei 
cominciasse ad elencare tutte le proprie abilità con tono 
scocciato, rovinando definitivamente l'incontro con quelli del 
governo; era da più di due ore che il Senatore Doggett 
continuava a fare domande, a toccare ogni pannello, ad 
investigare infilandosi e togliendosi quei suoi occhiali da 
miope ed emettendo dei sospiri che non lasciavano presagire 
nulla di buono. - Sam.Il Dottor Beckett, le ha inserito l'ego 
di barbara Streisand.Era un suo grande ammiratore.E chi 
non lo sarebbe?- ma la sua battuta non fu accolta e, 
nell'ampia stanza controllo, per un secondo cadde il silenzio. 
- Chieda pure, Senatore.
-Vorrei sapere dove si trova il Dottor Beckett adesso.
-La domanda esatta è quando si trova, Senatore; il Dottor 
Beckett si trova in****, un piccolo paesino della Louisiana ed 
è il 1955.
-Ma io non ho visto il Dottor Beckett addormentato su una 
sedia di quella che voi chiamate" Sala d'aspetto"?
-Tecnicamente no.-Il tono di Ziggy cominciò ad assumere 
una nota di noia e di disprezzo che Al sperò passasse 
inosservata alle orecchie disattente dell'ascoltatore- come 
l'Ammiraglio Calavicci le ha già tentato di spiegare più volte, 
quella che lei vede è solo l'aurea fisica del Dottor Beckett, il 
cui corpo si trova in questo momento nella cucina della 
residenza degli Howard.  
Al sorrise di nascosto osservando il viso confuso del 
Senatore: Sam era lo scienziato più brillante del pianeta, ma 
di certo non aveva scelto un metodo facile da spiegare per 
viaggiare nel tempo.
-Credo di aver visto abbastanza, Ammiraglio. - Il tono stanco 
e vagamente indispettito del Senatore Doggett lo riportò 
rapidamente alla realtà. - Sono profondamente convinto che 
quello che state facendo qui sotto non sia nient'altro che una 
follia ma per adesso non posso fare di più; lassù- e sollevò il 
doppio mento verso il soffitto- c'è ancora qualcuno disposto a 
credere a quel ciarlatano del vostro Dottore- si grattò la 
pancia prominente con fare pensoso- per quanto mi riguarda 
lei ed il suo. coso.
-Elaboratore ibrido parallelo, Senatore- Lo corresse Ziggy, 
decisa a rovinargli la serata facendolo sentire un perfetto 
idiota.
-Quello che sia.Non siete altro che una banda di venditori 
di fumo che spende i soldi del congresso.Ma verrà il giorno 
della verità!- Tuonò Doggett  con fare apocalittico e poi si 
diresse all'uscita, maledicendo i computer, gli elaboratori 
ibridi paralleli, Star Trek, la fantascienza ed i viaggi nel 
tempo.
-Grazie mille, tesoro- Sibilò Al, quando non udì più i passi 
del grasso senatore risuonare per le arcate vuote ed i soffitti 
del sotterraneo.
-Prego Ammiraglio.-Il computer emise un risolino: 
evidentemente, metterlo in difficoltà era una cosa parecchio 
divertente.
-Ziggy, dov'è la Dottoressa Beeks?
-Nella sua stanza.Ammiraglio, non le andrà a dire che sono 
stata cattiva con lei, vero?
Al scosse la testa e spense la luce senza rispondere.
-Posso entrare?- Chiese qualche minuto dopo, quando 
raggiunse gli alloggi del personale. La pesante porta si aprì 
ed una giovane donna di colore gli sorrise con fare 
amichevole.
-Certo, Ammiraglio, vuole un caffè?
-No, grazie, sto per andare a letto.
-Credevo fosse andato a raggiungere Tina e Gooshie a Las 
Vegas.
Al fece una smorfia di disgusto e si schiarì la voce.
-Fa troppo caldo per giocare al tavolo verde.
-Ma non è per parlare del tempo che è venuto qui, vero?- 
Verbena Beeks indovinò, lo faceva sempre dopo solo qualche 
secondo di conversazione privata; i suoi occhi grandi erano 
come specchi in cui Al colse un riflesso di se stesso: il viso 
stanco e provato sembrava quello di un vecchio e 
l'Ammiraglio Calavicci distolse in fretta lo sguardo.
-Gran bella serata.-Commentò, tanto per dire qualcosa, la 
sua mente vagava, sospesa, tra la nebbia fitta dei suoi 
pensieri.
-Ziggy dice che l'estate del 1955 è stata una delle più calde in 
Louisiana.
Il pensiero di Al corse veloce a Sam. 
E a Lizzie.
-Sì, di sicuro ha ragione.
-Sam è in pericolo?
-Oh, no, non in quel senso almeno.Lui sta benone.
-E' per via di quella giovane donna, quella che è riuscita a 
vederlo?
Al spalancò gli occhi interrogativamente.
-Me l'ha detto Ziggy.Non è capace di tenere un segreto per 
più di cinque nanosecondi!
L'Ammiraglio sorrise di un sorriso stanco, quindi aprì il 
primo cassetto della scrivania di Verbena, vi appoggiò il 
collegamento manuale e lo richiuse con forza.
-Perché non ne parliamo un po'? Prego.- Lei gli indicò una 
poltrona parecchio confortevole e lui vi sprofondò 
socchiudendo gli occhi.
-Non si fida di lei?- Gli chiese dopo un po'.
-No, non è questo.Insomma Lizzie è una gran brava 
ragazza, è molto attraente, è gentile, credo che si stia 
affezionando sinceramente a Sam.
-Qual è la sua missione?
-E' lì per salvarle la vita.Nella storia originale il marito la 
sorprendeva in flagrante adulterio e le sparava alla 
schiena.Il problema è che Lizzie.Ecco, lei e Sam.Lui è 
saltato nell'uomo con cui.
-Crede che il Dottor Beckett non sarà in grado di portare a 
termine il proprio compito?

Al sospirò, massaggiandosi il cranio con la mano destra, 
mentre la sinistra era impegnata nella ricerca di un sigaro 
che doveva esserglisi impigliato nel taschino della camicia.
-No, non credo.Temo che lui si sia innamorato di lei e che, 
quando tutto sarà finito, non vorrà più venire via.
-Questo è possibile?- La rivelazione aveva colpito anche la 
psicologa, come un secchio d'acqua gelata in piena faccia.
-Noi non sappiamo bene chi o che cosa stia facendo saltare 
Sam, ma non abbiamo mai preso in considerazione l'ipotesi 
che la sua volontà possa c'entrare qualcosa con il Quantum 
Leap.Se questo fosse vero.
-Lui adesso dov'è?- Verbena parlava lentamente, scandendo 
le parole, cercando di trasmettergli tutta la fiducia e la 
simpatia che effettivamente provava per Al in quell'istante.
-A cena.Da lei.
-E lei non ha cercato di fermarlo? Ho saputo che il contatto 
con il Dottor Beckett è piuttosto complicato.Da quanto 
tempo non gli parla?
-Veramente.-la sua voce ebbe un tremito appena 
percettibile- gli ho parlato un paio d'ore fa. Verbena, non me 
la sono sentita.
-Di fare cosa?
-Di fermarlo! Avresti dovuto vederlo: era da parecchi salti che 
non lo vedevo più così.Vivo, ecco il termine esatto! Avrei 
potuto fermarlo, ne sono certo, sarebbe bastato così poco per 
quel suo carattere da boy-scout e invece niente, l'ho lasciato 
andare e se stavolta lo perderemo per sempre sarà tutta 
colpa mia!- Al terminò la frase quasi in un gemito, la mano 
destra sosteneva la fronte mentre la sinistra stringeva 
convulsa il sigaro recuperato ed ancora spento.
-Al.-La Dottoressa Beeks avvicinò le loro sedie e gli sfiorò 
gentilmente la gamba- capisco come si sente in questo 
momento, ma non deve colpevolizzarsi.- Lui aprì gli occhi e 
la fissò con stupore, ma rimase ancora in silenzio- Se il 
Dottor Beckett deciderà di restare, sarà semplicemente una 
sua scelta.
-Ma io non posso permetterglielo!- Al si alzò di scatto mentre 
la maschera dell'indifferenza gli crollava dal viso, lasciandogli 
un'espressione contrita e disperata che Verbena non aveva 
mai visto prima- Mio Dio, chi baderà a tutto questo se lui 
decide di restare? E che ne sarà di quel ragazzo nella "Sala 
d'Aspetto"?  E di Donna, di Tina, di Gooshie, di me e di te, 
del progetto.
Beeks sospirò con rassegnazione e scosse la testa: il 
momento buono era passato, l'attimo fuggente in cui 
l'Ammiraglio Calavicci si era mostrato vulnerabile e le aveva 
aperto il cuore abbattendo, per un secondo, quel muro di 
diffidenza che lo rendeva spesso estraneo al resto del mondo 
e che venava ogni suo rapporto interpersonale era scomparso 
in un lampo; adesso era tornato quello di sempre: deciso, 
testardo, apparentemente sicuro di sé. 
Ma i suoi occhi mantenevano ancora una traccia di quello 
che era stato, le sue occhiaie non potevano mascherare i suoi 
sentimenti, il fatto che si sentisse tremendamente in colpa 
per Sam, per quello che avrebbe dovuto fare, perché sapeva 
che non gli avrebbe permesso di mandare tutto all'aria per 
una ragazzetta italiana, che avrebbe perfino giocato sporco, 
se fosse risultato necessario, pur di farlo retrocedere da quel 
suo pazzo desiderio.
L'avrebbe riportato a casa.
-Ammiraglio.- Verbena ci riprovò, ma sapeva che era ormai 
perfettamente inutile.
-Ti ringrazio per avermi concesso il tuo tempo.Ma è molto 
tardi ed io non vedo l'ora di andarmene a letto.- Detto 
questo, le scoccò un bacio con la mano e si allontanò a 
grandi falcate.
Lei si alzò per chiudere la porta, quindi si diresse verso il 
cassetto della scrivania, lo aprì, ne estrasse il collegamento 
manuale, ciò che permetteva ad Al e a Sam di mantenere il 
contatto e lo rigirò tra le dita lunghe ed abili.
L'Ammiraglio Calavicci l'aveva inconsciamente, o forse 
consciamente, dimenticato lì, nel suo alloggio: 
probabilmente, non averlo accanto per quella notte, lo 
avrebbe aiutato a non pensare, a rafforzare il proprio 
proposito di riportare il Dottor Beckett a casa.
Accarezzò i cubetti luminosi che lo componevano, con 
cautela, mentre un pensiero le si fissava nella mente e 
cominciava a torturarla con la chiarezza che possiedono 
quelle illuminazioni che ci raggiungono, talvolta, nel cuore 
della notte:
Forse il Dottor Beckett aveva trovato una nuova casa.

Residenza degli Howard
Giovedì, 25 Agosto 1955
Ore 22:09


Il silenzio regnava sovrano nella cucina degli Howard, 
interrotto a tratti soltanto dal fastidioso rumore provocato 
dal modo di masticare, rumoroso e scomposto, di Gordon; 
Sam aveva mangiato di gusto tutte le pietanze italiane che 
Lizzie aveva preparato appositamente per lui: si era 
letteralmente ingozzato di spaghetti al pomodoro, aveva fatto 
incetta di patate arroste e si era lanciato sul polpettone con 
un impeto che aveva fatto sorridere Lizzie da dietro la solita 
mano tesa a nascondere la curva dolce di quelle sue labbra.
Gordon l'aveva rimproverato per la sua fame, anzi non aveva 
fatto altro che insultarlo per tutta la serata, ricordandogli 
come "quelli come lui" non fossero capaci di altro che di 
mangiare il pane altrui e che, se mai quell'imbecille di sua 
moglie si fosse decisa a fargli un moccioso, non l'avrebbe 
portato da lui neppure per fargli curare un semplice 
raffreddore. Ma a Sam non importava affatto, di più, non lo 
stava neppure ad ascoltare, tutto intento com'era a fissare 
Lizzie di sottecchi, a coglierne ogni più piccola espressione, 
ad ammirarne i tratti fini ed eleganti, a sognare che quelle 
sue piccole mani gli accarezzassero il petto e le spalle con la 
stessa grazia e morbidezza con cui ripiegavano il tovagliolo 
che non avevano minimamente sgualcito.
Lei, al contrario, non aveva mangiato quasi nulla: gli occhi 
fissi sul proprio piatto semi vuoto si alzavano e si 
abbassavano con la velocità con cui una libellula sbatte le ali 
per andarsi a posare sul capo di Sam: si era accorta dei suoi 
movimenti inquieti, dei suoi sorrisi, di come il suo tono 
cambiava in quelle rare parole che gli era permesso rivolgerle 
al cospetto del marito e quella specie di gioco sottile ma 
eccitante, in cui a turno assumevano il ruolo di gatto e di 
topo, le aveva animato le guance e aumentato la tensione che 
la faceva stare appoggiata allo schienale, rigida come una 
corda di violino.
Si nascondeva le labbra dietro il tovagliolo, ma i suoi occhi 
brillavano di mille piccole schegge di felicità mentre 
osservava Sam divorare la cena e nel suo cuore si chiedeva 
da quanto tempo lui non faceva un pasto decente, chi si era 
preso cura di lui durante tutti questi lunghi anni e come 
fosse possibile abbandonare un uomo sperduto del tempo, 
alla mercé del fato e di un destino ignoto, neanche si 
trattasse di un cane divenuto ormai vecchio e noioso, che si 
poteva lasciare sul ciglio di una via a sperare nella 
compassione altrui.
Verso le dieci e mezza, Gordon si alzò, si stiracchiò 
rumorosamente sulla propria sedia, quindi si voltò verso la 
porta che dava sul salotto e, oltrepassando la moglie, senza 
neppure guardarla un momento, sentenziò:
-Fra mezz'ora esatta portami una fetta di torta! E manda via 
questo idiota, altrimenti domani la signorina non sarà capace 
di alzare neanche un dito e dovrò continuare da solo a 
sistemare il recinto!
E si allontanò grugnendo qualcosa, grattandosi la coscia 
destra con stizza, prima di sprofondare sul divano mezzo 
sgangherato, accendendo la TV con aria svogliata.
Sam aveva un milione di domande racchiuse nel suo animo, 
ma trovare il coraggio per cominciare a parlare non era una 
cosa facile; Lizzie era rimasta seduta al suo posto, il 
tovagliolo diligentemente piegato accanto al piatto, 
giocherellava con una ciocca di capelli, con gli occhi ancora 
persi in una specie di sogno silenzioso, domandandosi, nel 
profondo, se lui avesse notato la scollatura un po' più 
generosa di quel suo vestitino nero a fiori rossi che le 
fasciava il corpo perfetto, evidenziandone la vita da vespa.
Ad un tratto, come se si fossero letti nel pensiero, entrambi 
sollevarono lo sguardo, i loro occhi s'incrociarono e ciascuno 
lesse nell'altro la mole di domande che gli albergavano 
nell'anima; scoppiarono a ridere sottovoce, per paura che 
Gordon li potesse sentire e varcasse la soglia di quella cucina 
che, come una tela di ragno sottile, cercava di racchiudere e 
proteggere un'incorporea, comune speranza.
-Da quanto sei qui in America?- Le chiese Sam prendendo 
l'iniziativa e si sollevò brevemente dalla propria sedia, per 
poterla posizionare di fronte a quella di lei, in modo che, tra i 
loro due corpi, non ci fossero che una cinquantina di 
centimetri di distanza.
-Da due anni più o meno.Prima vivevo in Italia, sul mare, in 
un porto del Nord Est.-Lei si interruppe e lo fissò 
profondamente; interpretò correttamente l'espressione 
disegnata sul suo viso. Sapeva perfettamente che cosa 
desiderava sapere.
-Gordon era un soldato.Faceva parte del contingente che 
era rimasto in Italia a proteggere la nostra città.La 
situazione politica era complicata e confusa, neppure noi 
sapevamo bene a che stato desiderare di appartenere.
Lui non era così all'inizio; la prima volta che mi vide, al molo, 
si affrettò a comprarmi un mazzolino di fiori da una 
vecchietta che li vendeva, all'angolo della strada! Non capivo 
una parola di quello che mi diceva, ma mi 
sembrava.Insomma, io non avevo mai ricevuto un mazzo di 
fiori e.- Si bloccò di nuovo, le pupille dolorosamente 
affondate nel mare dei ricordi.- Oh Sam- gemette poi- ero 
soltanto una bambina! Avevo vent'anni, la guerra era finita 
da meno di dieci anni, l'Italia era in ginocchio ed il mio 
futuro non era certo roseo! Non avevo più sogni, non avevo 
neppure la speranza! Mia madre aveva altri quattro figli, io 
ero la più grande.Mio padre se n'era andato una mattina 
per non tornare più ed io non facevo altro che lavorare, come 
un cane, anzi peggio, senza un amico, senza nessuno che mi 
dicesse una parola gentile!- Scoppiò in un singhiozzo e lui le 
si fece più vicino.- Mi giurò che non avrei più faticato, che 
tutto sarebbe stato perfetto.Che cosa ne potevo sapere?!- Le 
lacrime cominciarono a scenderle copiose, lungo le guance, 
mentre tutto il suo corpo era scosso da dei singhiozzi rapidi e 
soffocati- Dicevano che l'America era il paese delle 
opportunità dicevano.Lui era così sicuro, così spavaldo, 
così.- Sam la strinse a sé, cercando di calmarla; appoggiò le 
sue labbra su quei capelli scuri, le accarezzò lentamente le 
spalle sperando di farla sentire al sicuro. Fu allora che notò 
un livido bluastro sulla sua spalla sinistra: i segni poco 
gentili di quattro dita che dovevano averla afferrata con 
violenza non più di tre o quattro giorni prima. Era stato quel 
bastardo del marito a lasciarle quel tremendo segno, quella 
specie di marchio che troneggiava sulla sua pelle liscia ed 
abbronzata, come a ricordare a chiunque che quella donna 
era di proprietà di Gordon Howard, era un oggetto che aveva 
conquistato, posseduto con l'imbroglio di un mazzetto di fiori 
di campo e che, divenuto inutile e senza fascino dopo aver 
dato il tesoro che per anni aveva contenuto, adesso non 
meritava più un briciolo di considerazione ma poteva 
solamente essere ancora sfruttato per la scarsa forza fisica o 
per le discrete capacità culinarie. Un mulo, ne era certo, una 
vecchia vacca, persino una gallina valevano di più ai suoi 
occhi di quella stupida, fragile creatura straniera che, per 
una sciocca voglia di gioventù, aveva portato con sé da una 
terra lontana e che ancora faticava ad adattarsi al suo 
egoismo senza fine: doveva nascondersi le labbra quando 
rideva perché la sua risata era volgare e sguaiata, così le 
aveva detto la mattina del matrimonio, doveva portare i 
capelli raccolti, perché quella sua fluente ed indomita massa 
bruna che si arricciava sul fondo era una specie di marchio 
del demonio e soltanto le puttane avrebbero osato portare 
quei fantastici capelli ribelli sciolti sulle spalle, come una 
specie di segno di sfida, una mina vagante per la sua 
autorità; e, cosa ancora più crudele, non poteva possedere 
dei pensieri, dei sogni che fossero interamente suoi, non era 
libera di decidere della sua vita, del suo corpo, libera 
neppure di prendersi un cagnolino che le facesse compagnia 
e che, con i suoi guaiti, le testimoniasse quanto fossero 
importanti il suo affetto e la sua presenza.
-Vedrai che cambierà.-Le disse sottovoce, cercando di 
immettere un po' di fiducia nella propria voce. Lei sollevò la 
testa lentamente, la mano destra tremante tesa ad asciugarsi 
le lacrime che stazionavano ancora agli angoli dei suoi occhi.
-Già.-Gli rispose tristemente, con il tono di chi accetta una 
bugia pietosa e finge di crederci solo per non far stare male 
chi l'ha pronunciata.- E' meglio che lavi questi piatti in fretta, 
o Gordon si arrabbierà sul serio.-E Sam la vide rabbrividire 
e toccarsi inconsciamente la spalla, là dove già una volta 
l'aveva ferita.
-Aspetta, ti aiuto io.- Annunciò con tono docile ma fermo, 
mentre l'acqua scrosciava allegramente nel lavello e Lizzie si 
protendeva verso lo stretto tavolo della cucina, a tentoni, 
cercando di afferrare qualsiasi cosa fosse lavabile.
Sam le porse il proprio piatto e lei, nel prenderlo, sfiorò 
leggermente le sue dita.
Silenzio.Il silenzio di un sogno perfetto.
Rimasero bloccati per un secondo, in quella strana posizione, 
lei di fronte al lavello e lui fermo lì, accanto al suo corpo, con 
la netta sensazione che la terra si fosse messa a girare 
all'impazzata e che solo il contatto con quelle dita sottili gli 
impedisse di franare pesantemente al suolo.
-Maledizione, non hai lavato ancora niente! Si può sapere che 
cazzo stai aspettando? La fanfara? Portami quella fetta di 
torta subito, o stanotte te ne faccio pentire! E manda questo 
negro a letto! Il suo puzzo mi sta facendo venire da vomitare!
Nell'attimo esatto in cui Gordon si era fatto brevemente sulla 
soglia, Sam aveva guidato con vigore la mano di Lizzie ed il 
piatto che stavano stringendo entrambi sul fondo del lavello, 
prima che il marito potesse accorgersi che le loro mani si 
stavano sfiorando. 
Una volta sott'acqua però, invece di lasciarsi, le loro dita 
s'intrecciarono e si strinsero con forza, come se fossero 
l'unica ancora di salvezza, l'unico appiglio capace di 
mantenerli in vita nell'immenso mare delle loro tribolazioni.
Le loro mani si torcevano, si graffiavano, si toccavano e si 
accarezzavano ma senza mai staccarsi l'una dall'altra ed 
esprimevano, al riparo dell'acqua più scura, tutta la passione 
che i loro corpi percepivano, che non erano più in grado di 
controllare, che li stava inesorabilmente trascinando l'uno 
tra le braccia dell'altra. Sapevano che qualcosa sarebbe 
successo, veramente l'avevano intuito la prima volta che si 
erano sfiorati e che le loro anime si erano riconosciute a casa 
di Dick, quando Annalisa era arrivata dal nulla, come un 
angelo portatore di salvezza.
Quando Gordon ritornò sul divano ed entrambi si voltarono a 
fissarsi negli occhi, timorosi ed al contempo sicuri ed ebbri di 
gioia, nello scoprire ciascuno sul volto dell'altro scolpito lo 
stesso sogno, il medesimo enorme desiderio, Lizzie ritirò la 
mano sorridendo malamente e, con un gesto automatico che 
voleva risultare naturale, l'asciugò, strofinandola 
vigorosamente sul grembiule che aveva allacciato pochi 
minuti prima dietro la schiena.
-I piatti.Hai sentito Gordon, vero? Uff, che caldo infernale!- 
respirò a fatica sistemandosi rapidamente una ciocca di 
capelli scuri dietro l'orecchio. 
Ma Samuel Beckett non era più disposto a lasciar perdere: 
sentiva il desiderio forte dentro di lui lottare contro la propria 
morale, la voce di Al e quel suo" Devi stare lontano da quella 
donna." affievolirsi in favore del ruggito possente di una vita 
di sogni infranti e ancora intatti, di solitudine e di 
incomprensioni.Gordon non meritava la fortuna che aveva 
rubato così furbescamente, lui non la considerava neppure! 
Di certo non aveva mai fatto caso ai dettagli del suo viso, alle 
rughe che le comparivano attorno agli angoli della bocca 
quando sorrideva di nascosto, al luccichio dei suoi occhi 
quando la luce vi si rifletteva contro e si scindeva in un 
migliaio di cristalli magici, ai suoi seni perfetti, a quel modo 
strano che aveva di dondolarsi, ora su di un piede ed ora 
sull'altro quando era intenta ad ascoltare qualcosa di 
veramente importante. Ma lui.Aveva cominciato a contare i 
nei che riusciva ad intravedere tra le pieghe del vestito, ad 
immaginare come doveva essere percorrere quel suo corpo 
giovane con le proprie labbra, da vincitore, da conquistatore 
e, nel frattempo, essere conquistato, completamente 
sottomesso ai suoi desideri, non respirare se lei non lo 
desiderava, non dirle niente ma restare, immobile, a fissarla 
e ad osservare il giorno morire e trasformarsi in notte dentro 
quelle sue pupille oscure ma ricche di promesse.
L'ondata di pensieri lo fece barcollare e gemere, mentre i 
muscoli del suo collo cominciavano ad irrigidirsi per la 
tensione, nello spasmodico tentativo di frenare il proprio 
desiderio.
Lizzie aveva ripreso a lavare i piatti in silenzio, si era 
praticamente addossata al muretto di pietra che conteneva il 
lavandino e questo perché, nell'asciugarsi troppo 
rapidamente la mano che aveva tenuta immersa con lui, 
aveva sciolto il nodo già lento del grembiule da cucina e 
adesso era costretta a stringersi con le anche al lavello, per 
evitare che il grembiule le scivolasse a terra.
Sam si avvicinò a lei, con calma prese entrambi i nastri e 
rifece un fiocco perfetto all'altezza della vita quindi lasciò che 
le proprie mani sostassero a lungo sui suoi fianchi e che 
l'accarezzassero leggermente, soltanto con la punta 
dell'indice e del medio.
Lizzie s'immobilizzò, stretta tra il suo corpo ed il lavello: Sam 
riusciva a sentire il profumo della sua pelle, una specie di 
dolce gelsomino, misto agli odori della cena consumata da 
poco ed a percepire il tremito leggero che avevano le sue 
spalle, che trasudava dalla sua pelle a quella di lui. Le 
vedeva il petto sollevarsi in rapidi ed affannosi respiri, la 
vena giugulare contrarsi e tremolare serpeggiando azzurrina 
in quel deserto bruno che era l'incavo del suo collo, mentre le 
mani rimanevano, perfettamente immobili, contratte a 
pugno, sul fondo della vasca da cucina, ancora immerse 
nell'acqua tiepida.
Sam la fece voltare così, molto lentamente, fino a che non si 
trovarono faccia a faccia; lei cercò debolmente di divincolarsi, 
movendo le mani ancora serrate nell'aria, in una specie di 
tentativo di difesa, ma lui non le permise di sfuggire dal suo 
petto e la spinse gentilmente contro la parete corta della 
cucina e lì, nello spazio rimasto libero tra il frigo ed un basso 
mobiletto, chiuse gli occhi e la baciò dolcemente.
Prima un bacio timido, poi uno più imperioso e poi un altro 
ed un altro ancora: sembrava che le loro labbra non 
potessero staccarsi più, come poco prima avevano fatto le 
loro mani; Lizzie aveva il respiro affannoso e la mente 
annebbiata, nessun pensiero riusciva a superare la soglia di 
coscienza che non fosse una specie di spinta primordiale ad 
attaccarsi a quelle labbra per non lasciarle andare più. Per la 
prima volta, nel silenzio di quella fredda cucina che aveva 
imparato ad odiare da due lunghissimi, interminabili anni, si 
sentì la persona più felice sulla faccia della terra e si lasciò 
accarezzare a lungo da quelle mani che le sembrava di 
conoscere da una vita, fremendo di più ad ogni magico tocco.
Sam la stava stringendo forte, tanto da poterle quasi fare 
male, pregando chiunque fosse mentalmente all'ascolto di 
non farlo svegliare, non adesso, di non spezzare quel 
collegamento con se stesso che aveva finalmente trovato in 
lei.
-Cristo, Lizzie! Se non mi porti subito la trota giuro che vengo 
lì e ti prendo a schiaffi!- Gridò Gordon dal salotto ma, grazie 
al cielo, continuò a guardare la televisione senza immaginare 
perché la moglie ci mettesse tanto ad ubbidire, come faceva 
sempre.
Sam la stringeva ancora, ma l'incantesimo, ormai, si era 
rotto: con il fastidioso grugnito di Gordon , la voce della 
coscienza rimbombò nelle sue orecchie e, veloce come un 
fulmine, il ricordo della propria missione gli brillò nella 
mente con l'intensità del sole a mezzogiorno.
Tu non la devi toccare, tu non la devi desiderare, tu non la 
puoi avere, altrimenti morirà e sarà tutta colpa tua.
Si staccò da lei, facendo uno sforzo su se stesso che gli costò 
una fitta al cuore che non avrebbe mai dimenticato; Lizzie 
spalancò gli occhi e lo fissò, senza comprendere che cosa 
fosse successo e si sentì, di nuovo, una stupida bambina 
caduta in trappola.
-Sam.-Fece lei, cercando di avvicinarglisi, allungando una 
mano per poterlo toccare ancora, sentendo improvvisamente 
freddo, lontana dal suo abbraccio vigoroso ed appassionato.
Ma il Dottor Beckett scosse la testa disperato:
-Non posso.Io non posso farlo.Perdonami, te ne prego!- Poi 
spalancò la porta che dava sul retro del giardino ed uscì 
correndo attraverso la campagna; nell'uscire urtò 
violentemente contro il vaso di cristallo in cui Lizzie aveva 
sistemato i fiori che lui le aveva portato, che cadde a terra e 
finì in mille pezzi.
Lentamente, soffocando i singhiozzi che sorgevano potenti 
dal profondo, Lizzie si accasciò sul pavimento, accanto ai 
cocci, reclinò la testa sulla propria spalla  e pianse di un 
pianto disperato.
Erano quasi le tre del mattino e Sam non era riuscito a 
prendere sonno: il proprio corpo, dopo essere stato per breve 
tempo a contatto con quello di lei, non ne voleva sapere di 
chetarsi e, ad ogni rapida strofinata con le ruvide lenzuola, 
gli faceva balenare dinnanzi agli occhi il profilo di Lizzie, la 
morbidezza della sua pelle, l'incavo del suo collo flessuoso, la  
vena azzurrina che le sue labbra avevano mordicchiato, 
mentre il suo cervello si faceva divorare e smembrare dal 
desiderio pulsante e da un rovente senso di colpa.
A circa quarantacinque anni di distanza, nella solitudine del 
proprio alloggio, anche l'Ammiraglio Calavicci, seppure per 
altri motivi, si contorceva dalla rabbia tra le lenzuola 
dell'enorme letto matrimoniale, gemendo spasmodicamente 
nell'attesa di un nuovo giorno.